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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Ugento

La discarica dei veleni: vent'anni di inchieste giudiziarie, archiviazioni e misteri

L'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Valeria Mignone ha riportato alla luce i fantasmi di Burgesi, con un passato di veleni e rifiuti tossici

LECCE – Un quarto di secolo di sospetti, misteri, pareri inascoltati, leggi calpestate, inchieste, archiviazioni e soprattutto veleni. Nel novembre del 1990 il Consiglio comunale di Ugento deliberò la localizzazione della discarica in contrada Burgesi, nonostante il parere contrario del geologo Giovanni Mele, che ammoniva sui pericoli legati alla falda acquifera.

Il progetto fu poi approvato nel febbraio del 1991 e realizzato con una “concessione edilizia in sanatoria”. Una delle tante anomalie legate alla discarica più discussa e osteggiata della storia del Salento. Emblematica la protesta dei cittadini a cavallo tra la fine del 2008 e il 2009 contro il conferimento in discarica dei rifiuti dei comuni dell’Ato Lecce/2, in un impianto già passato da 700mila  a quasi un milione e mezzo di tonnellate. Il primo gennaio del 2009 i cittadini occuparono le vie di accesso alla discarica. Una protesta che portò alla chiusura dell’impianto nel giugno del 2009.

In mezzo inchieste giudiziarie e sequestri, controlli sulla falda e sospetti, denunce e un aumento esponenziale di malattie e tumori alla tiroide. L’inchiesta partì dall’autodenuncia presentata da Bruno Colitti il 12 dicembre 2006 alla Guardia di finanza di Gallipoli. Dinanzi alle fiamme gialle l’imprenditore (oggetto in seguito di minacce e attentati, nel marzo del 2009 ignoti diedero fuco alla sua abitazione a Torre San Giovanni) raccontò di come gli fosse stato chiesto di occultare in Contrada Burgesi rifiuti tossici e speciali. Colitti accusò la ditta che aveva ricevuto l'appalto per quasi tre milioni di euro finanziati dalla Regione Puglia, per realizzare la bonifica dell'area, e che aveva subappaltato il lavoro a tre ditte locali, di aver interrato i rifiuti piuttosto che rimuoverli.

striscione 1-2I lavori furono avviati il 2 febbraio del 2005 e conclusi nel giugno del 2007, con un collaudo finale (con esito positivo) datato 30 novembre 2007. Nel successivo procedimento aperto dalla Procura di Lecce furono sei i nomi a finire nel registro degli indagati. L’inchiesta fu poi archiviata dal giudice per le indagini preliminari, Ercole Aprile, nel 2009.

Il giudice accolse la richiesta del sostituto procuratore Donatina Buffelli, dopo mesi di indagini, cinque sopralluoghi, un provvedimento di sequestro (del 13 febbraio 2009), prelievi ed analisi. Nelle circa cento pagine della relazione depositata dai consulenti della Procura, Mauro Sanna e Cesare Carocci, si evidenziava come si fosse scavato “nelle aree indicate dal denunciante senza rinvenire nulla di rilevante. In ordine all'asserito illecito smaltimento di rifiuti solidi e amassi di terra inquinata – si leggeva nella richiesta di archiviazione –, furono tutti smaltiti come pericolosi”.

Oggi, una nuova inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone (da anni in prima linea nella lotta ai reati ambientali) e condotta dai carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo di Lecce, porta alla luce i fantasmi di un passato fatto di veleni e fusti sepolti nel ventre del Salento, in quelle che un tempo erano cave di tufo. Furono in molti a raccontare di aver visto la lunga marcia nella notte dei camion verso la discarica nell’estremo lembo della Puglia. Le indagini hanno accertato la presenza di almeno 600 fusti sepolti nella discarica di Burgesi, guarda caso, poco più di dieci anni fa.

Una bomba ecologica su cui si sta concentrando l’attenzione delle istituzioni. La falda, così come evidenziato, nel 2006, non sarebbe stata inquinata, e le tracce inquinanti sarebbero state rilevate nel cosiddetto percolato di discarica. Rimangono però le preoccupazioni per la salute dei cittadini e il “mistero” di quei fusti tombati che riportano quanto mai attuale l’interesse della criminalità nell’affare rifiuti, un argomento su cui si era battuto Peppino Basile, l’ex consigliere il cui delitto è ancora insoluto. 

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