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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Guagnano

uranio killer. "Non si può morire per il fuoco amico"

Una delegazione del Consiglio centrale dell'Esercito ha ascoltato questa mattina il capitano Carlo Calcagni, di Guagnano, vittima da possibile contaminazione durante le missioni in Bosnia del '95

Scuola Cavalleria di Lecce,18 luglio, ore 10. Una delegazione del Consiglio centrale di rappresentanza dell'Esercito (il Cocer) ascolta, in una formale audizione riunitasi per la prima volta in Italia per fatti come questi, il capitano Carlo Calcagni, militare vittima da possibile contaminazione da uranio impoverito. Calcagni, 38 anni di Guagnano, in provincia di Lecce, sposato e padre di una bambina di due anni, capitano elicotterista dell'Esercito, è affetto da neoplasia in seguito ad una missione in Bosnia nel 1995 dove entra in contatto con la sostanza incriminata.

"Finalmente qualcuno mi ascolterà - dice Calcagni prima di sedersi di fronte il Cocer - ma posso già ritenermi soddisfatto dell'interesse che la Forza armata sta dimostrando nei miei riguardi e di tutti coloro, che come me, si trovano in situazioni difficoltose e che in balia delle onde vengono pescati da personaggi che speculano sui nostri problemi. Ci sono le leggi - continua il capitano - che tutelano noi ‘vittime del dovere', ed oggi più che mai i dubbi sulla legge 206 del 2004 sono stati chiariti, inequivocabilmente, ma è altresì necessario che le nostre pratiche abbiano priorità assoluta in modo che contemporaneamente si garantisca una vita dignitosa a noi servitori dello Stato e si tolga la possibilità a personaggi senza scrupoli di speculare sulle disgrazie altrui".

Scuola Cavalleria di Lecce,18 luglio, ore 14. Dopo quattro ore di audizione il capitano Calcagni esce dalla caserma ed è visibilmente soddisfatto: "Come speravo è stato un incontro positivo - dice - con un atteggiamento da parte dell'Esercito che mi è sembrato propenso a risolvere il problema riguardo l'assistenza ai militari contaminati da uranio impoverito. Quella che si è svolta questa mattina a Lecce è stata l'unica audizione tenutasi in Italia. In quattro ore ho spiegato ai miei superiori cosa significa affrontare la malattia, quali sono le esigenze più importati per quelli come noi. Loro hanno ascoltato con molta attenzione e a volte apparivano quasi sconcertati perché è apparso evidente, nel corso del dibattimento, che erano persone poco informate sulla questione e così ho tratto una prima conclusione: coloro che per primi dovrebbero sapere alla fine non sanno praticamente nulla".

"In buona sostanza ho chiesto alla Stato maggiore dell'Esercito il rimborso delle spese che ho sostenuto da quando ho contratto la malattia: visite, controlli, medicine. E questa mattina la delegazione del Cocer ha assistito ‘in diretta' alle mie cure, quando ho dovuto iniettarmi una endovena come ogni giorno per la mia terapia. Che costa circa 10mila euro l'anno. Ma sono trascorsi cinque anni da quando mi sono ammalato - spiega - e fino ad ora ho speso circa 50mila euro. Ora, se questo denaro, o una parte di esso, dovesse essere rimborsato chissà quando, al sottoscritto non servirebbe più a niente. Ecco perché i militari contaminati da uranio impoverito e ai quali viene riconosciuta loro la causa di servizio, hanno bisogno del sostegno economico subito, magari attraverso un anticipo per poi sperare in un conguaglio. Anche per non incappare in quei furbi che in queste circostanze si fanno avanti per prometterti di agevolarti le pratiche".

Già le pratiche. "E poi le nostre pratiche devono seguire un iter d'urgenza, non possono viaggiare nei vagoni postali. Quando nel 2002 mi fu diagnosticata la neoplasia, la mia documentazione, partita dall'ospedale militare di Roma, è arrivata all'ospedale militare di Bari dopo un mese e mezzo. Ma si puo'?"

Il capitano dell'esercito non ha gran voglia di ricordare quella missione, e chi l'avrebbe, ma fa uno sforzo e ammette: "Ho contratto la patologia quando nel 1996 mi trovavo in Bosnia, a Sarajevo, in missione di pace con le forze Nato. Nessuno era a conoscenza del fatto che i bombardamenti con gli ordigni ad uranio impoverito avrebbero contaminato le zone dove noi operavamo con gli elicotteri. Nessuno sapeva che in seguito all'esplosione le nano-particelle si sarebbero distribuite nell'aria, contaminando i luoghi dove erano avvenute le deflagrazioni. Ed io, proprio col mio elicottero, operavo in un contesto di guerra, a bombardamenti avvenuti andavo in attività di ricognizione a recuperare gli uomini rimasti feriti. E durante le fasi di atterraggio e decollo respiravamo quelle polveri che si sollevavano nell'aria. Questa è la mia storia. Vorrei che la mia esperienza diventasse preziosa per gli altri, utile per tutti i miei colleghi che hanno avuto la mia stessa esperienza ma anche per quelli più fortunati di me. D'altronde gli ordigni all'uranio impoverito erano utilizzati dalle forze Nato in missione in Bosnia, ce le avevano portate lì gli americani. Ma non si può morire per il fuoco amico".

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