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Cronaca

Viaggio nell'economia "costituzionale" di Tremonti

Una interessante riflessione sulla situazione economica del paese e sul rapporto politica-finanza, che prova a raccontare cosa sta accadendo e quali siano le ragionevoli priorità del sistema italiano

ROMA - Un contributo ed una riflessione sulla situazione economica del paese e sul rapporto politica-finanza: lo firma il giovane avvocato Stefano Gallo, laureato alla Luiss, che prova a raccontare cosa sta accadendo alle politiche economiche del governo e del sistema italiano.

Il 14 luglio, relazionando in Aula, al Senato, sulla manovra finanziaria con la quale il Governo si impegna a garantire il pareggio di bilancio per l'anno 2014, in ossequio agli impegni assunti in sede comunitaria (approvazione del ddl n. 2814 di conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2011, recante "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria"), il Ministro dell'Economia Tremonti concludeva il suo attesissimo intervento "invitando" maggioranza ed opposizione ad "impegnarsi ad inserire in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio".

Immediatamente, in data 29 luglio, il senatore Lauro del Pdl ha presentato un disegno di legge costituzionale recante "Introduzione dell'art. 81-bis della Costituzione in materia di patto di stabilità" al fine di rafforzare l'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione, che stabilisce espressamente che "ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte", il quale, nelle intenzioni dell'Assemblea Costituente, introduceva l'obbligo del pareggio di bilancio.

Per capire perché ciò si sia verificato sino al 1961 (disavanzo pubblico pari a 357 miliardi di lire, equivalente al 1,4% del PIL) e perché invece da quel momento in poi l'art. 81 sia stato nei fatti disatteso (nessun rinvio formale alle Camere da parte dei Presidenti della Repubblica di leggi prive di copertura finanziaria) portando il debito pubblico alla stratosferica cifra attuale di 1890,6 miliardi di euro, pari al 120% del PIL, è opportuno operare un breve excursus storico delle vicende di politica economica relative al pareggio di bilancio, con il contributo di illustri economisti che ai temi passati in rassegna hanno dedicato importanti ed essenziali scritti di letteratura economica.

Durante l'intero periodo pre-keynesiano la letteratura fiscale, da Adam Smith a Bastable, era incentrata sul principio indiscusso del pareggio in bilancio, regola "etica" , seppur non "codificata" in formali regole scritte. La teoria smithiana di "responsabilità fiscale" stabiliva una fondamentale differenza fra il finanziamento tramite imposte, che impone l'onere del pagamento interamente alla comunità politica del periodo in cui viene assunta la decisione di spesa, ed il finanziamento con ricorso al deficit, per cui l'onere del debito viene traslato sui contribuenti dei periodi successivi.
Con l'avvento di John Maynard Keynes le cose iniziarono a cambiare, finchè, negli anni '60, era ormai frequente l'affermazione "oggi siamo tutti keynesiani".

Si era verificata la "profezia" dell'illustre economista di Cambridge: «le teorie degli economisti impiegano 25 anni per affermarsi». La Teoria Generale fu infatti pubblicata nel 1936. La teoria keynesiana del debito pubblico, che divenne rapidamente la teoria ortodossa, negava in maniera esplicita che la finanza in debito trasferisse un onere sui contribuenti futuri, sostenendo che l'intero costo dei servizi pubblici venisse sempre e comunque sostenuto dai cittadini viventi nel momento in cui sono operate le scelte pubbliche, indipendentemente dal fatto che tali servizi siano finanziati mediante imposte o emissione di debito. In questo modo era eliminata ogni barriera morale al ricorso al finanziamento in deficit: la rivoluzione keynesiana aveva avuto inizio.

Nell'epoca post-keynesiana, dopo gli anni '60, in realtà si è però assistito a continui e crescenti deficit di bilancio, un settore pubblico in rapida espansione, elevati tassi di disoccupazione, inflazione crescente con conseguente perdita di fiducia nel sistema socio-politico da parte dei cittadini. Perché ciò si è verificato?

Buchanan e Wagner individuano le cause della crescita esponenziale della spesa pubblica proprio nell'abbandono del principio del bilancio di pareggio in base annua, regola come abbiamo visto "etica" e di rango quasi costituzionale in epoca pre-keynesiana, nonchè nella naturale propensione dei politici al potere al ricorso al finanziamento in deficit (poiché avvertito come meno costoso dai contribuenti-elettori rispetto al finanziamento mediante imposte, il cui onere è avvertito immediatamente).

In realtà è opportuno precisare che Keynes non avrebbe distrutto il principio del pareggio in sé, poiché né lui, né i "keynesiani", dubitarono della necessità di basare la politica economica su di un principio sostitutivo di quello del pareggio annuo, ovvero il pareggio lungo il ciclo economico.
Keynes, a detta del suo stesso biografo R.F. Harrod, era però un aristocratico elitista che riteneva che le decisioni dovessero essere assunte da un ristretto gruppo di saggi come quelli che elaborarono il piano di Bretton Woods. Non capì, probabilmente, i meccanismi alla base delle scelte democratiche e che i politici non avrebbero avuto incentivi a seguire i suoi suggerimenti, bensì a ricercare il consenso dei cittadini.

«Se la democrazia è in deficit, bisogna eliminare il deficit, non la democrazia». Per farlo, i keynesiani probabilmente risponderebbero che il problema è quello della scelta di responsabili politici più seri e competenti. Buchanan e Wagner sostennero, invece, che questa scelta non sarebbe una soluzione, perché i politici, qualunque sia la loro capacità e volontà, sono individui che reagiscono agli incentivi e disincentivi e, quindi, non sarebbero in grado di seguire regole contrarie ai loro interessi elettorali, a meno che tali regole non fossero obbligatoriamente stabilite a livello di norma costituzionale.

La loro teoria segnò l'inizio di una nuova branca della Public Choice, quella dell' "economia costituzionale", che è appunto diretta all'individuazione di "regole" per la politica economica che vincolino il comportamento dei politici («...noi avanziamo dei suggerimenti espliciti per cambiamenti costituzionali, in particolar modo a favore di un emendamento costituzionale che imponga il bilancio in pareggio»). In tempi molto più recenti, altri economisti di fama mondiale hanno ripreso le loro idee, in particolare il norvegese Finn E. Kydland e lo statunitense Edward C. Prescott, vincitori del premio Nobel per l'economia 2004.

Kydland e Prescott analizzano il caso di un governo che disponga di strumenti istituzionali e regole valide («commitment devices») per auto-vincolarsi a non cedere alle tentazioni di breve periodo, dimostrando che, in tali ipotesi, il governo attuerebbe politiche economiche più favorevoli per la collettività. Da questi argomenti deriva il fatto che gli autori invocano, nel titolo del loro studio, "regole fisse piuttosto che discrezione" («rules rather than discretion») per la condotta della politica economica.

Nel nostro Paese la prospettiva costituzionale ha prevalso, come accennato in precedenza, fino al 1961. Veri e propri pionieri furono Quintino Sella ed il suo successore Minghetti, i quali, per recuperare l'imponente deficit conseguente all'Unità d'Italia, fecero del pareggio di bilancio quasi un'ossessione personale. Il pareggio, ottenuto con misure drastiche e impopolari (aumenti di imposte e tagli "fino all'osso" ) fu infine raggiunto nel 1876, ma proprio in quell'anno la Destra Storica subì una sconfitta elettorale catastrofica. Dunque questi uomini deliberatamente sacrificarono la loro carriera politica alla ragion di Stato e al conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio in base annua. Una prospettiva non certo delle migliori per l'attuale superministro dell'Economia.

La Sinistra, andata al potere, continuò la politica della Destra. Emblematico l'esempio del Ministro delle finanze del secondo Governo Cairoli, Grimaldi, che dopo aver promesso l'abolizione della tassa sul macinato, resosi conto che di fatto ciò si rendeva impossibile, si dimise pronunciando la famosa frase "la matematica non è un'opinione". Seguendo l'insegnamento di questi "eroici" pionieri, Luigi Eínaudi ed Ezio Vanoni, all'interno dell'Assemblea Costituente, nel 1946, riuscirono ad ottenere l'adozione di una regola costituzionale del pareggio di bilancio, il summenzionato art. 81 della Costituzione.

Ecco quindi su quali presupposti economici si basa, con ogni probabilità, l'improvvisa accelerazione costituzionale del Ministro dell'Economia Tremonti, sulla falsariga del suo collega tedesco Peer Steinbrück, il quale dopo essersi battuto con ostinazione per l'obiettivo dei pareggio di bilancio al grido "Wir schaffen die Null!" ("Pareggiamo i conti!") è caduto in disgrazia fino ad essere sostituito da Wolfgang Schäuble.

Un obiettivo, dunque, raggiungibile a costo di manovre dolorose e invise all'opinione pubblica e ai contribuenti, come è sembrata sin da subito anche l'appena approvata manovra finanziaria 2011. Infine, è di questi giorni la presentazione del ddl costituzionale a firma del senatore Lauro. Il pareggio di bilancio non sarà in grado da solo di migliorare la sostenibilità del debito pubblico in assenza di interventi correttivi sulla crescita, come ha scritto Mario Monti sul Financial Times, ma resta un obiettivo fondamentale e necessario se si vogliono contrastare gli effetti inflazionistici del deficit nonché, e soprattutto, per la sua portata etica, al fine di limitare le propensioni elettorali della classe politica al governo. Come un acuto osservatore ha dichiarato "fece bene Ulisse a legarsi all'albero della nave. Ed i politici dovrebbero fare altrettanto"
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