Vita segnata dalla sensibilità chimica multipla: fa causa allo Stato per 1 milione di euro
Parte da Lecce una battaglia per il riconoscimento dei diritti delle persone affette da una patologia oscura. Giuseppina Marazia, 57enne, non ha più un lavoro ed ha venduto tutto per curarsi. Le spese sono ingenti e non c'è sussistenza. Il legale: "Regione sorda a ogni appello. Questione di civiltà"
LECCE – Sensibilità chimica multipla. Il nome ai più forse non evoca nulla. Per chi ne soffre, però, è un problema che può trasformare l’esistenza. Parte da Lecce una battaglia che potrebbe segnare in qualche modo un punto fermo, forse una presa di posizione su una questione a oggi controversa, nonostante vi sia anche un precedente, che riguarda Brindisi (ne riferiamo in fondo alla pagina, Ndr). Perché tutto ruota attorno a un nodo da sciogliere, cioè come considerare la sensibilità chimica multipla, qualcosa che non tutti ancora sono disposti a ritenere una patologia degna di particolari attenzioni. Anzi, c’è chi pensa che non sia nemmeno una patologia.
Al momento gli studi non convergono verso una posizione univoca. Basta fare una semplice ricerca in Rete per scoprire da soli che la comunità scientifica è dibattuta e che c’è chi ritiene che si tratti di un disturbo psicosomatico, chi fa riferimento a forme di autosuggestione. Certo è che non si trova negli elenchi regionali delle malattie rare, sebbene in alcune parti d’Italia esistano comunque dei centri per diagnosi e trattamento. Insomma, si passa dal tutto al niente, da chi tratta le vicende con diffidenza, a chi le ritiene meritevoli di molte attenzioni per tutte le implicazioni correlate: salute, economia, dramma sociale.
Una cosa è certa. Chi n’è affetto sostiene spesso di aver visto la propria vita posta ai margini per l’impossibilità di portare avanti anche le azioni quotidiane più semplici. Come nel caso di Giuseppina Marazia, leccese di 57 anni, separata e con tre figli, un sussidio minimo di 281 euro che finisce prima ancora di entrare in tasca, l’impossibilità di continuare a lavorare, come ha sempre fatto nella vita, fino a quando non sono iniziati i sintomi.
Lei ha chiesto più volte di essere ascoltata bussando anche alle porte di esponenti della Regione Puglia. Il suo complesso caso, però, dopo anni di lotte, non ha avuto soluzione. I mezzi di sussistenza sono così oggi ridotti al minimo. E ritenendo di avere diritto a un’assistenza decorosa, per scuotere le istituzioni (Matteo Renzi, come Nichi Vendola) a prendere molto sul serio l’argomento, tramite un legale, Salvatore Greco, che le offre gratuito patrocinio, ha intentato causa contro lo Stato italiano e, di riflesso, quindi anche contro la Regione.
La richiesta di risarcimento è di 1 milione di euro, ma la storia non verte per nulla attorno ai soldi. La battaglia, come spiega lo stesso legale, sarebbe vinta su tutti i fronti se fosse riconosciuto anche “solo” il diritto alla sussistenza. E per sensibilizzare i cittadini sulla sensibilità chimica multipla, lei stessa, dal 10 novembre, darà corso anche a uno sciopero della fame in via Umberto I, nei pressi della Prefettura di Lecce.
La storia di Giuseppina
Di umili origini, diploma scientifico, Giuseppina Marazia ha sempre lavorato, finché la salute gliel’ha permesso. Dal 1982, quando aveva 25 anni, fino al 1997 è stata titolare di un’erboristeria. Dal 2000 al 2001 ha poi operato nel campo dell’editoria e della pubblicità, quindi fino al 2003 presso un istituto bancario come segretaria amministrativa. Dal 2005 al 2007 è stata segretaria commerciale presso una società di macchine e impianti industriali. Dal novembre del 2010 al maggio del 2011, si è rimessa in affari, gestendo un’attività di vendita di prodotti caseari, lavorando in seguito anche come cuoca.
Nel frattempo, negli anni, ha formato una famiglia, si è separata, ha avuto un terzo figlio. Una vita come tante altre, scandita da affetti, gioie, delusioni, passando da una mansione all’altra per tirare avanti con dignità. Già nel 2010, però, si sarebbero manifestati i primi problemi. Quei problemi che hanno segnato una linea di demarcazione netta fra una precedente vita degna di tal nome a una non-vita. Affetta da un’allergia, sostiene di aver subito uno shock tale, dopo “essere incappata in una struttura pubblica”, da tramutarsi nella cosiddetta sensibilità chimica multipla. Da quel momento, sarebbe iniziato un calvario. Ogni abitudine, mutata. Tutte le sue economie, prosciugate. Non essendovi sussistenza, ogni cura è demandata al paziente.
Il problema: una vita ai margini
Negli atti della causa si spiega cosa comporti quello che, definire disagio, è perfino eufemistico. La donna non avrebbe più potuto utilizzare una serie di filati e sarebbe costretta a nutrirsi usando esclusivamente farina o pasta di kamut. Poche le medicine in grado di assumere, altrettanto pochi i detersivi da usare, tutti realizzati da società di nicchia con prezzi elevati. Prodotti quasi introvabili, tanto da essere spediti da fuori, con tutti i costi aggiuntivi che ne conseguono.
Da quel giorno, sono iniziati anche lunghi e costosi viaggi in strutture mediche fuori regione e fra cure, farmaci e quant’altro, ha dovuto vendere tre immobili di sua proprietà e prosciugare risparmi ed elargizioni ricevute dai familiari. Al momento vive in affitto e tutto quel che le sarebbe rimasto, serve per le esigenze quotidiane più strette. Per sopravvivere, in altre parole. “Le risposte dovevano giungere dallo Stato centrale, e per lo stesso dal Ministero della salute, nonché dalla Regione Puglia”, tuona oggi chi la difende. Il caso è stato presentato all’ex assessore alla Sanità, Elena Gentile, poi al suo successore, Donato Pentassuglia.
Per ora nulla è cambiato, e, anzi, rileva il legale, “ove mai sia possibile la posizione personale e patrimoniale è ulteriormente precipitata”. Ora, infatti, anche una “lettera di sfratto nell’immobile che conduce in locazione”. Così “restano scoperte le necessità vitali: mangiare, bere, vivere, vestirsi, curarsi”. Fino ad oggi la donna è andata avanti grazie a prestiti di amici e alla generosità di “alcune persone, conosciute nelle loro verste istituzionale, e che, poi, personalmente, hanno ritenuto di provvedere ad una minima elargizione in denaro”. Ma non si potrà andare avanti in eterno.
Ecco, allora, la causa contro lo Stato: dipende dalla percezione che, a fronte di sofferenze e costi igenti, non siano stati garantiti i diritti costituzionali, anche laddove ogni dovere sia sempre stato rispettato. Come dire, nessun debito con le pubbliche amministrazioni fin quando ha avuto da lavorare, ma oggi una richiesta di quasi 5mila e 400 euro per aver venduto un’abitazione acquistata in precedenza, con i benefici di legge sull’Iva decaduti per la cessione prima dei termini di legge. Un’alienazione, inutile dirlo, dovuta alla necessità di trovare fondi per sussistenza e cure.
La sensibilità chimica multipla: cos’è, cosa comporta
Le prime manifestazioni di questa indisposizione ancora poco nota risalgono alla fine degli anni ’80. Disturbi fisici e psichici nascerebbero a contatto con sostanze chimiche d’ogni tipo, presenti anche in ambiente, con il rischio di shock anafilattico (e quindi anche di morte).
“I sintomi riguardano sistema nervoso, respiratorio e digestivo e sono rinite, asma e altri problemi respiratori, mal di testa, malattie cardiovascolari con problemi pressori, vertigini, stanchezza cronica, sintomi simili all’influenza, confusione, perdita della memoria a breve termine, aumento della sensibilità agli odori, fatica e depressione, dolori muscolari e articolari, dermatiti e problemi digestivi”, dice il legale.
“Le fonti di esposizione possono variare dall’aria, al cibo o dall’acqua o attraverso il contatto della pelle”. Il Mcs (acronimo per Multiple Chemical Sensitivity, in inglese), ipotizzato per la prima volta dall’allergologo statunitense Theron G. Randolph, è una condizione che tocca ogni aspetto dello stile di vita, fino a turbare i rapporti familiari.
Chi ne soffre evita profumi e fragranze, solventi, detersivi, farmaci, colori artificiali e aromi. E’ circondato da un mondo ostile, laddove per i più è concepito come normalità assoluta. Deve quindi acquistare prodotti particolari, persino per nutrirsi, come la già citata pasta con farina di kamut che costa 4 euro a mezzo chilo oppure la farina di kamut stessa, che va a 6 euro al chilo. Non esiste inoltre una vera cura.
Germania e Austria la riconoscono come malattia, altrove non è lo stesso. In Italia, ogni regione ha una sua singola visione, pur non essendovi diritti specifici perché il Consiglio superiore della sanità non la ritiene malattia rara. Così, ogni singola persona deve provvedere da sé per ogni spesa.
Secondo quanto riferisce il legale e quanto riporta anche nella causa, il problema di Giuseppina Marazia è stato comprovato sia “dal certificato dell’Asl di Lecce, presidio di Campi Salentina, del 17 aprile 2013”, con attestazione del medico Giacomo Rao, ritenuto fra i massimi esperti in questo campo in Italia, sia da una relazione precedente, del 3 agosto 2012, “rilasciata dall’Istituto ricerca medicina e ambiente srl di Acireale, che è uno dei laboratori di analisi medico-cliniche più importanti d’Italia”.
E dunque, tutta la causa ruota attorno a concetti basilari: da quando la donna ha iniziato a soffrire, non potendo più lavorare, non le sarebbe stato garantito quanto stabilito dalla Carta costituzionale. Che è bene ogni tanto rispolverare.
Articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Articolo 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera”.
“Il dramma – conclude l’avvocato - è che di situazioni come quella lamentata oggi dalla donna ve ne sono diverse migliaia. La sua battaglia, lungi dall’essere una battaglia personale, vuol essere, e si auspica che lo sia anche la pronuncia finale, una questione di civiltà, perché lo Stato centrale come le ramificazioni sul territorio regionale e non solo, non possono e non debbono essere solo collettori di imposte, tasse e balzelli vari”.
Il precedente di Brindisi
Come detto, esiste anche un precedente molto vicino a livello territoriale. Un paziente, seguito dall'avvocato Danilo Lorenzo, si era visto negato il diritto di curarsi proprio perché la patologia non era stata riconosciuta come tale dalla Regione Puglia.
Il Tribunale di Brindisi chiamato a pronunciarsi sulla questione, con una recente ordinanza, non solo ha riconosciuto la sensibilità chimica multipla come una malattia (conferendo alla stessa "dignità" patologica), ma ha anche accertato il diritto all'uomo di curarsi a spese del servizio sanitario nazionale, ordinando all'Asl competente il pagamento delle spese sostenute dal malato per curarsi in un centro specializzato.
"Si è trattato di un precedente giurisprudenziale molto importante, il primo intervenuto nella materia - spiega il legale - soprattutto con riferimento al riconoscimento espresso della sensibilità chimica multipla come vera e propria malattia e, in quanto tale, meritevole di cura, nel senso giuridico del termine". Dunque, anche una speranza in più proprio per Giuseppina Marazia.