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Economia

Morti bianche: i sindacati dei metalmeccanici si rivolgono al prefetto

Sciopero di un’ora a fine turno; Fim, Fiom e Uilm in prefettura: “L’allarme scatta sempre dopo la tragedia ma gli infortuni sono quotidiani. Serve serietà e prevenzione”

LECCE – Le chiamano morti bianche perché spesso non è facile individuare il responsabile dell’incidente fatale. I responsabili sono tutti e quindi nessuno. Come nel caso dei decessi degli infanti nelle culle (perché la definizione è usata in entrambi i casi), le morti sul luogo di lavoro risultano tragicamente insulse. E assurde, perché evitabili, se solo la prevenzione diventasse una realtà quotidiana anziché restare lettera morta su carta: nello specifico sul decreto legislativo 81 del 2008, il testo chiamato a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, peraltro aggiornato dopo il rogo nello stabilimento Thyssenkrupp che costò la vita a sette operai.

Come da copione, l’allarme sicurezza nelle fabbriche, lungo le catene di montaggio, nei cantieri come altrove, è rilanciato in conseguenza di un nuovo incidente. Mortale, specialmente. Ed è questo il caso dei gravi episodi accaduti a Piacenza, in un’azienda di logistica, poi a Taranto, all’interno dell’Ilva, e infine nell'Atac, l’azienda dei trasporti romana.

I sindacati dei metalmeccanici ogni anno aggiornano il bollettino di guerra e nel 2016 i decessi sul luogo di lavoro, in Italia, hanno già raggiunto quota 500. Non resta che riaccendere il faro sul problema, parlarne, responsabilizzare le parti datoriali e i dipendenti. Inasprire i controlli, tenere gli occhi aperti. Collaborare coscienziosamente. Oggi, su scala nazionale, Fim, Fiom e Uilm hanno indetto lo sciopero di un’ora a fine turno. Nel capoluogo salentino i segretari Maurizio Longo, Anna Rita Morea e Piero Fioretti hanno consegnato un documento al prefetto Claudio Palomba per fare il punto della situazione.  L’impianto del testo è identico a quello redatto su scala nazionale, con una differenza sostanziale che riguarda il tessuto produttivo salentino.

Come spiega la segretaria Fiom Lecce, Anna Rita Morea, la crisi economica che ha investito il Sud ha minato, ancora di più, l’attenzione alle regole sui luoghi di lavoro. In nome della produttività, troppi occhi sono stati chiusi sulle norme di sicurezza obbligatorie. “Gli operai e i dipendenti, sottoposti al continuo ricatto occupazionale, non perdono tempo a pretendere che gli standard di sicurezza siano rispettati al 100 percento – spiega lei – e vi è una costante sottovalutazione dei rischi. Per esempio accade che nelle catene di montaggio si utilizzino dei macchinari obsoleti e i dispositivi di sicurezza, che impongono tempi di produzione più lunghi, vengano addirittura disattivati per aumentare la resa”.

La prevenzione, tuttavia, non è un obbligo unidirezionale che interessa la sola parte datoriale. Emblematico e frequente è anche il caso di quei lavoratori che non sanno utilizzare nè indossare correttamente i cosiddetti dispositivi di protezione individuale forniti dalle aziende: “Dobbiamo registrare, anche in questo caso, gravi lacune nell’informazione e nell’educazione alla sicurezza”, puntualizzano i sindacalisti.

“In generale questo tema è sottovalutato e bypassato da entrambe la parti – aggiunge Piero Fioretti della Uilm – ed il problema torna a ribalta solo dopo una tragedia”. Gli infortuni, al contrario, sono quasi quotidiani e non si ha contezza del loro numero perché gli stessi operai rinunciano a denunciare l’accaduto.

“Inutile fare il censimento delle aziende che non rispettano le regole perché questa è una situazione diffusa sul territorio nazionale e particolarmente gravosa nel Salento in cui la produzione industriale si è quasi azzerata – conclude la Morea -: l’unica cosa che si può fare è cambiare registro seriamente”.

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