Sciopero nazionale per salari più alti e diritti: la protesta passa dal Salento
Si fermano trasporti e servizi nella mobilitazione del 17 novembre, promossa da Cgil e Uil a sostegno di un’altra politica economica rispetto a quella prevista nella legge di Bilancio. Presidio anche a Lecce
LECCE – La manovra economica contenuta nella legge di Bilancio e le politiche del governo nel mirino dei sindacati che chiedono di alzare i salari, estendere i diritti e contrastare il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati dentro una visione che non offre futuro ai giovani. A sostegno di un'altra politica economica, sociale e contrattuale, ritenuta necessaria e urgente, Cgil e Uil daranno vita a partire da venerdì 17 novembre a una grande mobilitazione in tutta Italia, con il coinvolgimento anche del territorio salentino. E, com'è noto, non mancano le polemiche.
La prima tappa prevede proprio il 17 novembre otto ore di sciopero nazionale (o intero turno) per tutte le lavoratrici e i lavoratori di diversi settori (appalti e servizi strumentali relativi alle attività di lavanderia industriale, vigilanza privata, pulizie e servizi integrati multiservizi, ristorazione collettiva regolamentati e non regolamentati che operano nei settori pubblici; istruzione, università e ricerca, alta formazione artistica e musicale; poste e servizi postali; trasporto pubblico locale, trasporto ferroviario, trasporto merci e logistica, autostrade, porti trasporto marittimo, autonoleggio, servizio taxi, noleggio con conducente; consorzi di bonifica compresi nella proclamazione nazionale; tutti i comparti afferenti la funzione pubblica ovvero igiene ambientale, terzo settore, sanità pubblica e privata, funzioni centrali, funzioni locali).
A Lecce i lavoratori si raduneranno davanti alla Prefettura di Lecce a partire dalle 9. Nello stesso giorno prenderà avvio la mobilitazione generale, che prevede cinque giornate con scioperi di otto ore e manifestazioni in 58 piazze, con oltre 100 presidi su base territoriale e regionale. Sempre il 17 novembre incroceranno le braccia lavoratrici e lavoratori delle regioni del Centro (con una manifestazione a Roma in piazza del Popolo). In seguito toccherà alla Sicilia (20 novembre), alla Sardegna (27 novembre), alle regioni del Nord (24 novembre) e a quelle del Sud (con manifestazioni a Napoli, dove concluderà i lavori il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, e Bari, con comizio finale affidato al segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri).
L’obiettivo è cambiare la proposta di legge di Bilancio e le politiche economiche e sociali fino ad ora messe in campo dal governo ed a sostegno delle piattaforme sindacali unitarie presentate, Cgil e Uil hanno deciso di dare vita a un percorso comune di mobilitazione.
“L’obiettivo è duplice - spiegano i segretari territoriali di Cgil e Uil, Valentina Fragassi e Mauro Fioretti -, innanzitutto sensibilizzare l’opinione pubblica, nel modo più capillare e diffuso possibile, sulle gravi criticità della manovra economica. Inoltre chiedere al governo e alle istituzioni territoriali di assumere i provvedimenti necessari a ridurre le diseguaglianze e a rilanciare la crescita”.
Secondo Cgil e Uil, il Governo non in un anno non ha fornito alcuna risposta all’emergenza salariale. Aveva annunciato 100 euro in più nelle buste paga, in realtà ha confermato salari già falcidiati – in media del 17% – dall’inflazione da profitti. Prometteva di “rilanciare la contrattazione collettiva”, ma non stanzia le risorse necessarie a rinnovare i contratti del pubblico impiego e a sostenere i rinnovi nei settori privati. Voleva incrementare la spesa sanitaria, ma continua a indebolire il servizio sanitario pubblico. Ha tagliato le risorse alla scuola pubblica, alle politiche sociali, alla disabilità e non mette nulla per la non autosufficienza ed il trasporto pubblico locale. Voleva cancellare la legge Fornero” e invece la peggiora, stabilendo uscite insostenibili a partire dal 2024: 67 anni di vecchiaia, 42 anni e 10 mesi di anticipata (uno in meno per le lavoratrici) e i 71 anni per giovani e donne nel sistema contributivo. In dodici mesi, non si è visto un intervento sul lavoro stabile e di qualità o contro la precarietà, anzi si sono reintrodotti i voucher ed è stato liberalizzato il lavoro a termine. Non c’è stato alcun investimento concreto per migliorare la vita e il lavoro delle donne. La riforma fiscale portata avanti a parità di reddito tassa di più i salari e le pensioni rispetto ai profitti, alle rendite finanziarie e immobiliari, al lavoro autonomo benestante. Non si è investito in salute e sicurezza, nonostante la strage che si consuma ogni giorno nei luoghi di lavoro. Sono del tutto assenti politiche industriali e di investimento in grado di creare lavoro buono e ben retribuito soprattutto per i giovani o di governare la transizione ambientale, digitale ed energetica. È stato totalmente dimenticato il Mezzogiorno, come pure investimenti pubblici e sulle infrastrutture.
Le richieste dei sindacati, dunque, riguardano diversi aspetti: sul lavoro la richiesta è aumentare stipendi e pensioni, rinnovare i contratti nazionali, abbattere i divari che colpiscono le donne. Sul fisco, si chiede una lotta all’evasione, evitando sanatorie, condoni e premi a settori economici che presentano una propensione all’elusione delle tasse fino al 70%; e ancora l’indicizzazione automatica all’inflazione delle detrazioni da lavoro e da pensione, la promozione di un fisco progressivo, con un no alla Flat tax, riportando all’interno della base imponibile Irpef tutti i redditi oggi esclusi e tassati separatamente con aliquote più basse, tassando gli extraprofitti e le grandi ricchezze.
Sui giovani la proposta è di favorire il lavoro stabile a tempo indeterminato, introducendo una pensione contributiva di garanzia, favorendo il diritto allo studio attraverso investimenti per servizi, alloggi e borse di studio. Sulle pensioni si punta a una vera riforma che superi la legge Monti-Fornero e la piena tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere.
I sindacati chiedono anche la difesa dello stato sociale, del servizio sanitario nazionale, di investire su salute e sicurezza; di abbandonare la politica securitaria sull’accoglienza, cancellando la legge Bossi-Fini e tutti i recenti provvedimenti in materia di immigrazione per definire nuove politiche di integrazione. Infine, le politiche industriali con una nuova strategia che affronti crisi vecchie e nuove, che punti alla transizione ambientale ed energetica, riconverta e innovi il sistema produttivo governando processi di digitalizzazione, incrementare la qualità e la quantità dell’occupazione a partire dal Mezzogiorno.