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Economia

“Telenorba non può agire come gli pare”. Sei operatori sul piede di guerra

Alcuni tecnici accusano l'azienda di aver fatto ricorso alla cassa integrazione con "modalità poco chiare" e di avvalersi "impropriamente" di service esterni. Perplessità riguardo la presunta crisi del gruppo a causa dei dati Auditel in crescita

LECCE – I lavoratori dell’emittente televisiva Telenorba sono sul piede di guerra e, mediante una nota stampa, puntano il dito contro l’azienda. La rivendicazione è firmata da sei fra operatori tecnici e di ripresa che reclamano il “dovuto rispetto”. A loro dire sarebbe  giunta l’ora, infatti, di fare luce su situazioni “poco chiare che vivono di silenzi e complicità”.

“Il fatto che Telenorba abbia assunto, negli anni, un ruolo da ‘prima della classe’ nel panorama dell'emittenza locale non può e non deve legittimare comportamenti arroganti o violazioni di accordi e norme – scrivono - . Vogliamo sia ristabilita la legalità e il principio in base al quale la legge è uguale per tutti: non si può giocare con la vita delle persone”.

I lavoratori, in particolare, esigono delle risposte “da chi si erige pubblicamente a paladino dei diritti dei lavoratori e sottovaluta i diritti del proprio personale; da chi continua a ricevere cospicui finanziamenti (11 milioni e 400 mila euro secondo i dati del Corecom) e registra dati Auditel in crescita”.

Le perplessità più forti riguardano la presunta crisi del gruppo Norba: “A giudicare dagli investimenti per Radionorba Television (approdo sulla piattaforma Sky in collaborazione con Tgcom24), sbandierati ad alta voce, infatti, si direbbe il contrario – spiegano - . A questi si aggiungono gli accordi stipulati con l'Unione sportiva Lecce per la messa in onda di trasmissioni sportive, mentre ignoriamo se l'affitto degli studi venga pagato oppure ceduto gratuitamente. E ricordiamo che, da  mesi, molti lavoratori sono rimasti invece a casa, senza percepire neppure un euro”.

In più salterebbero agli occhi alcune presunte disparità tra i dipendenti: “Un gruppo di ‘fortunati’ continua ad essere retribuito con stipendi che arrivano fino a 4mila euro al mese, molti altri, invece, se la passano decisamente peggio. Gli stessi criteri di collocazione in cassaintegrazione risultano perlomeno “discutibili”: dodici  persone (4 giornalisti e 14 impiegati), dal luglio 2012, usufruiscono della cassa in deroga a zero ore mentre un altro gruppo di lavoratori è stato collocato secondo la modalità della rotazione”.

Alcune mansioni, poi, dichiarate ‘soppresse’, sarebbero state affidare a service esterni, “anche se durante il periodo di ricorso agli ammortizzatori sociali non ci si può avvalere di ditte esterne senza correre il rischio di incorrere in pesanti sanzioni, come l'immediato reintegro del personale”. Del resto, chiedono i dipendenti, come può un'azienda in crisi acquistare servizi all’esterno?

L’elenco delle rivendicazioni non finisce qui: mancato rispetto della turnistica e delle ore di straordinario, fino a 20 ore in più del consentito; spostamento sistematico di personale in altri settori; ritardo nell'erogazione dei pagamenti (le mensilità arretrate sono dieci) determinato da una mancanza dell'azienda e non sono stati neppure consegnati tutti i documenti richiesti.

All’interno del gruppo Norba vi sarebbe, quindi, un clima di assuefazione disarmante, determinato dall’incertezza sul futuro cui si lega lo spettro del licenziamento alle porte per 50 dipendenti: il 30 giugno 2014 scadranno, infatti, i due anni di cassa concessi e con il rinnovo ottenuto solo fino a marzo.

Per queste ragioni i lavoratori chiedono alle autorità competenti e agli organismi di controllo, l'istituzione di una commissione d'inchiesta che faccia luce sulle modalità di ricorso agli ammortizzatori sociali, “restituendo i posti di lavoro arbitrariamente negati”.

“Distanti da qualsiasi forma di strumentalizzazione, chiediamo un incontro urgente con istituzioni, politici e parlamentari  pugliesi affinché ci dimostrino esista ancora lo Stato di diritto – aggiungono - ; evitino il ripetersi di situazioni grottesche come questa, rivedendo i criteri di risorse all'editoria e prendano consapevolezza di come i fondi destinati all'occupazione servano, invece, a fare cassa sulla pelle dei dipendenti”.

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