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Cultura Alessano

Il Salento si stringe nel ricordo di don Tonino Bello

Diciassettenne anni dopo la sua scomparsa, il ricordo del vescovo è ancora forte nel Salento e a Molfetta, dove ha operato, e dove tra dieci giorni inizierà l'atteso processo di canonizzazione

A 17 anni dalla sua morte prematura (l'anniversario sarà domani), partirà il prossimo 30 aprile il processo di beatificazione di don Tonino Bello, vescovo originario di Alessano, che ha guidato la diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, con la prima sessione pubblica, e il giuramento dei componenti del Tribunale ecclesiastico e di tutti gli officiali della postulazione, dinanzi all'attuale pastore della chiesa di Molfetta, monsignor Luigi Martella, anch'egli salentino. Una notizia che certamente non lascia indifferente il Salento, ancora legato al "vescovo santo".

Una premessa è d'obbligo: lo scrivente non ama la cultura dei "santini", ossia lo stile di chi si lega ad una figura, facendone parametro con cui rapportarsi in ogni argomento o da tenere buono per le citazioni ad affetto. Del resto, la chiesa "dei campanili" era già messa alla berlina dal buon Paolo di Tarso. In genere, chi scrive non ama nemmeno chi invia gli "auguri scomodi" come se fossero curiosi ritrovati nei bigliettini di noti cioccalitini nostrani.

Eppure chi, come me ha vissuto a Molfetta per anni, respirando quell'aria, guardando i volti commossi dei pescatori del lungomare stretti in un ricordo semplice, seguendo le tracce di un uomo, di un pastore singolare, persino fuori tempo, sa bene che don Tonino rappresenti l'anomalia più interessante della chiesa pugliese post concilio: tanto amato dal suo popolo, da essere incompreso dai confratelli presbiteri e vescovi. Ancora oggi. Si, perché l'estasi di chi si compiace di questo passaggio atteso contrasta coi fili scoperti di chi ancora continua a fare difficoltà a comprendere cosa davvero sia stata quella presenza, stroncata da un tumore a soli 58 anni.

Esistono tanti ricordi conservati dentro un cassetto, che si potrebbero tirare fuori dalle memorie, dallo sconcerto di quella sera lontana di aprile, quando apprendevo della sua scomparsa, alle scene del lungomare molfettese vestito di una malinconia palpabile, all'estate precedente, con quello scambio di battute rigorosamente in dialetto sotto il porticato dell'episcopio otrantino, alla sua presenza costante ritrovata più avanti, nel paradosso della sua assenza.

Don Tonino Bello è stato per molti il racconto di un Dio diverso, vicino ai poveri, compagno di viaggio e mai giudice delle loro storie travagliate, innamorato dei vinti, degli sconfitti, in grado di annunciare una resurrezione dirompente che scuote il torpore del quotidiano. Nel suo accento tricasino, che scandiva le sue narrazioni, molti hanno trovato la luce di un messaggio evangelico diretto, chiaro, affascinante e travolgente; e la scoperta di una chiesa non solo come istituzione gerarchica, spesso lontana da ciò che predica, ma animata dal desiderio di uscire dal puzzo delle sacrestie, per scendere in piazza, stringere mani, percorrere i vissuti degli ultimi, far conoscere la carezza del divino, ed affliggere i consolati. Nel suo stupore divertito dinanzi alla genuinità delle domanda di chi gli chiedeva se un vescovo "è colui che fa suonare le campane".

Dentro questo tempo, fatto di precarietà e delle contraddizioni del consumismo, di legami sempre meno umani, si sente la profonda mancanza della sua tempra, di quella voce "sovversiva", del suo esempio e della sua interpretazione della realtà. Del suo "brivido di passione", di quando citava un'espressione di Antonio Gramsci, ed affermava: "Ecco, ci manca il brivido. Ci basti pensare al tema della povertà, che è essenziale e sul quale come Chiesa non sappiamo fare più scrutinio. Sembra che siamo stati colti da afasia. Permettiamo ormai tutto. Mi vengono in mente alcune battute di Silone nel libro Vino e Pane, dove in un dialogo tra sacerdoti, a don Benedetto si fa dire: 'Mio caro don Angelo, t'immagini tu il Battista offrire un concordato a Erode per sfuggire alla decapitazione? Ti immagini Gesù offrire un concordato a Ponzio Pilato, per evitare la crocifissione?'. Riconosciamolo: ci manca l'audacia profetica che c'è nel discorso della montagna, ci fa difetto l'alta quota delle beatitudini, e il ciuffo d'erba delle sue pendici si è disseccato nella nostra bisaccia".

Don Tonino manca a chi vive la fede tra mille dubbi e tra chi forse inizia a mettere da parte ogni riferimento di trascendenza. A chi non sa trovare sentinelle in grado di annunciare l'alba. Manca quel suo richiamo alla convivialità delle differenze dentro una storia, che cerca di armare le identità. Manca a chi vuole profezia e trova un mondo orribilmente piatto. Manca a chi insegue la sua ala di riserva, per non cadere dal volo della mediocrità. E manca a questo Salento, che, in fondo, non lo ha dimenticato e che, attraverso la sua vicenda umana, ha raccontato un po' di sé.

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