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Cultura

Filosofia si rinnova e si presenta agli studenti: “Siamo pronti a sporcarci le mani”

Lunedì 29 settembre la presentazione della nuova offerta formativa. Alessandra Beccarisi, presidente del corso di laurea, illustra le novità e spiega perché, nella società attuale, vale la pena scommettere su questa disciplina umanistica

LECCE – Il nuovo corso di laurea in Filosofia dell’Università del Salento sarà presentato lunedì mattina, alle ore 10, presso le Officine Cantelmo. Dopo la presentazione di Alessandra Beccarisi (nella foto, sotto), professoressa associata di Storia della filosofia medievale e presidente del corso di laurea, toccherà a Charles Alunni, della Scuola Normale Superiore di Parigi tenere una lezione dal titolo “Filosofia, un percorso indiziale”. Nell’intervista che segue la docente spiega, tra l’altro, le novità per il prossimo anno accademico.

Quarantenne, senza genitori docenti in ateneo, ed è già presidente di un corso di laurea. C’è dunque ancora speranza in questo Paese?

Mi fa piacere che nella domanda siano citati i miei genitori: non vengo da una famiglia facoltosa, anzi. Ma i miei hanno sempre creduto nella cultura e nella formazione come strumenti di riscatto sociale. Non si sono sbagliati. Ma non posso e non voglio pensare di essere un caso isolato, Il  gruppo di ricerca a cui appartengo è costituito da giovani studiosi che hanno lavorato bene e duramente per raggiungere risultati riconosciuti a livello internazionale. Tra l’altro quando il mio predecessore, il professor Domenico Fazio mi propose la candidatura come presidente del corso di laurea, non volevo accettare. Mi sembrava una responsabilità troppo grande, ma poi, come direbbe Erika Ostrovsky “andando imparo dove devo andare”.

Lunedì 29, alle Officine Cantelmo, presentate un’offerta formativa rinnovata. In che modo?

L’offerta formativa quest’anno mobilita per la prima volta tutte insieme le risorse di Filosofia presenti nell’Università del Salento. Nel settore storico-filosofico offriamo un ventaglio di scelte assai ampio, perché la metodologia storica è fondamentale per l’approccio ai problemi filosofici. Vi sono poi insegnamenti di ambito pedagogico, psicologico e sociologico. Inoltre, numerosi laboratori orientati a competenze specifiche e che saranno aperti per la prima volta anche agli studenti delle scuole che frequentano l’ultimo anno. È una forma di orientamento innovativa, che permetterà agli studenti di fare esperienza dell’Università già nelle scuole superiori e che verrà accreditata in caso di iscrizione al corso universitario.

Certo, più di qualcuno sostiene che ci voglia una gran faccia tosta nel chiedere ai giovani di iscriversi a filosofia. Come risponde?

La faccia tosta non ci manca. A parte gli scherzi, viviamo un momento storico un po’ schizofrenico: da un lato ci sentiamo ripetere continuamente che la filosofia è inutile e che forma uomini e donne che difficilmente trovano una collocazione nel mondo del lavoro. Dall’altro però assistiamo a un interesse crescente nei confronti della filosofia. Penso ai festival che fanno numeri da grandi concerti rock, al rinato interesse per le pratiche filosofiche come cura del sé, agli esperimenti anche locali per fare della filosofia motore di sviluppo anche economico. Tutto questo mi convince del fatto che oggi, come sempre, c’è bisogno di filosofia. La filosofia, come espressione autentica dell’umano, offre una capacità di visione e di analisi che tutti ci riconoscono. Ma per produrre nuove idee è essenziale conoscere criticamente la storia di queste idee, le loro possibilità e i loro limiti. Certo anche la filosofia, disciplina così antica e così nobile, si deve rinnovare, aprirsi a un dialogo con altre discipline, sporcarsi le mani insomma. I nostri studenti migliori sono perfettamente a loro agio con un antico manoscritto, un programma di impaginazione, una conversazione in inglese. Adesso non abbiamo bisogno di studiosi arroccati nel loro sapere, ma di ‘rivoluzionari’, capitani coraggiosi.

Fattore sempre più determinante è il tasso di internazionalizzazione. Quali sono i dati sulla mobilità nel suo corso di laurea? I ragazzi sono incentivati a studiare all’estero? E i docenti si aggiornano?

La mobilità dei docenti è altissima. Molti hanno avuto esperienze all’estero, e quasi tutti i progetti finanziati prevedono forme di collaborazione con istituti stranieri, in particolare tedeschi e francesi. E’ naturale, allora, che investiamo molto nell’internazionalizzazione. Stiamo per esempio lavorando a due percorsi internazionali interni al corso di laurea magistrale in Scienze filosofiche con l’Università di Colonia e beccarisi-3-2l’Università Paris-Sorbonne, che dovrebbero partire il prossimo anno accademico. In pratica lo studente che decide di seguire uno dei due percorsi, studierà per un anno presso l’università partner e alla fine otterrà un doppio titolo, italo francese o italo tedesco. Naturalmente occorre avere una conoscenza della lingua adeguata e anche una forte motivazione. Ma ritorno al punto discusso prima: è necessario mettersi in gioco, sempre, e acquisire tutte le competenze necessarie in un mondo complesso e sempre più cosmopolita.

Decodificare il presente e codificare il futuro: questo lo slogan che avete scelto per quest’anno. Quale è l’impatto delle nuove tecnologie sulla didattica del vostro corso?

Crescente: cerchiamo di utilizzare i social network per diffondere informazioni, dati utili, insomma per fare comunicazione. Il corso ha sia un profilo facebook che twitter. Poi da quest’anno abbiamo cominciato a sperimentare modalità di teledidattica per il recupero dei  debiti formativi. Ma non è solo questo: cerchiamo di educare a un uso consapevole della rete e delle nuove tecnologie. L'aumento esponenziale delle informazioni e soprattutto la possibilità orizzontale e ‘democratica’ di accesso sembra aver reso possibile il sogno di dominare e rendere disponibile tutto il sapere del mondo, come scrive Solimine nel suo libro “Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in italia’. Un sogno che rischia di tramutarsi in un incubo se questa enorme mole di informazioni accessibili sempre e contemporaneamente in tutto il mondo sembra generare non tanto una migliore conoscenza, quanto piuttosto una perdita di conoscenze e una progressiva frammentazione del sapere, come paventa lo storico Peter Burke nel suo “Dall'Encyclopédie a Wikipedia”. Storia sociale della conoscenza. E’ necessario allora non solo ripensare le istituzioni culturali, ma soprattutto educare ad una cittadinanza responsabile all’interno del mondo digitale, fornendo gli strumenti critici per un uso consapevole delle nuove tecnologie. E questo lo facciamo sia tramite il laboratorio di informatica umanistica, sia attivandoci personalmente a insegnare ai nostri studenti a un atteggiamento critico e selettivo nei confronti della rete.

In base alla sua esperienza, qual è lo stato di salute dell’università italiana?

Domanda difficile, lo confesso. Potrei rispondere riproponendo il cahiers de doleance di una docente universitaria di una piccola università del Sud: clientelismo, nepotismo, mancanza di risorse, assenza di meritocrazia. Ecco se guardiamo a tutto questo, che noi tutti conosciamo perché è quello di cui fondamentalmente si parla, allora direi che lo stato di salute dell’università italiana è comatoso. Ma facendo questo sarei ingiusta nei confronti di tutti quei colleghe e colleghi che fanno il loro lavoro con passione, dedizione e competenza anche in condizioni difficili. Faccio allora come gli abitanti del pianeta Trafamaldore, raccontato da Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5: “ignorare i brutti momenti e concentrarsi su quelli buoni”. Io penso che l’università italiana per quanto stia attraversando da anni una crisi dovuta soprattutto ad una classe dirigente miope e a volte anche ad una autoreferenzialità dei docenti, abbia la capacità di invertire la rotta. Lei ha fatto riferimento alla mia esperienza: in base alla mia esperienza le dico che si lavora sodo e tanto, che cerchiamo di fare rete, che ci sforziamo di confrontarci con un contesto nazionale e internazionale, che non ci accontentiamo dei risultati raggiunti, che puntiamo sempre in alto. Ecco se si decidesse di valorizzare queste realtà che si trovano dappertutto in Italia, penso proprio che l’università avrebbe qualche possibilità di riuscita”. 

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