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Terzapagina. Canne, la battaglia che ha cambiato la storia di Roma

In Puglia, il 2 agosto del 216 avanti Cristo, ebbe luogo una delle battaglie più sanguinose della storia: il generale Annibale, a capo dell'esercito cartaginese, fece strage di otto legioni romane. Scomparse un'intera classe dirigente

CANNE DELLA BATTAGLIA - Cielo turchino di seta slavata, nuvole in fuga all’orizzonte come sogni di bambino, luce feroce e abbacinante, caldo opprimente e colonna sonora di cicale e vento. Canne appare così, come un miraggio perso nella piana dell’Ofanto, allo stesso modo in cui il 2 agosto del 216 avanti Cristo, in un pomeriggio d’estate, il generale Annibale distrusse otto legioni romane. Un luogo che ancora oggi evoca morte e sangue, l’inferno sulla terra di una delle battaglie più sanguinose della nostra storia.

Furono circa sessantamila le vittime dei Romani (50.000 secondo Tito Livio, addirittura 70.000 secondo Polibio), tra i quali lo stesso console Lucio Emilio Paolo. La maggior parte di quelli che sopravvissero, quasi tutti feriti, fu fatta prigioniera; solo alcuni, rimasti di guardia all'accampamento, fuggirono nella città di Canosa. Annibale perse solo 8.000 uomini, per la maggior parte Galli. Un massacro difficile anche da immaginare.

I Cartaginesi, racconta Tito Livio, si fermarono solo quando “furono spossati dal far strage più che dal combattere”. “L’indomani – racconta sempre Tito Livio nel libro XII della Storia di Roma –, all'alba, attesero a raccogliere le spoglie e a contemplare la strage, orrenda anche per un nemico. Tante migliaia di romani giacevano, fanti misti a cavalieri, come li aveva accomunati il caso o il combattimento o la fuga. Alcuni, riscossi dal dolore delle ferite acutizzatesi nel freddo mattutino, si alzarono insanguinati e furono finiti dai nemici”.

Quella di Canne non è solo la carneficina di un esercito, di corpi insepolti e divorati dagli animali, ma anche la fine di una classe dirigente che scompare in prima linea e che segna la morte di tre consoli ed ex consoli, di otto questori, quaranta tribuni, ottanta senatori. A Cartagine, per mano di Magone, fratello minore di Annibale, giungono tre cesti di anelli, sfilati dalle dita degli “equites” nel corso della battaglia. Una mattanza su terra, in uno spazio grande quanto un campo di calcio. Perché Canne fu anche il “capolavoro” di strategia di Annibale, nella battaglia che cambiò la storia militare antica e moderna. I Romani erano comandati quel giorno dal console Gaio Terenzio Varrone, che li schierò a battaglia nonostante il parere contrario dell'altro console, Lucio Emilio Paolo. Annibale pose al centro dello schieramento i contingenti degli alleati galli ed iberici, disponendoli a formare un arco proteso in avanti.

Lo scopo di questa particolare disposizione era duplice: in questo modo si rendeva meno compatta la massa d'urto dei Galli, favorendo così i Romani nello scontro iniziale per poi farli cadere in un'imboscata; inoltre la disposizione ad arco avrebbe permesso allo schieramento dei Galli di arretrare sotto l'urto dell'attacco romano senza spezzarsi, come sarebbe accaduto se fossero stati disposti in linea. I Romani - due terzi dei cui effettivi erano costituiti da inesperte reclute, i cosiddetti tirones - si erano disposti in uno schieramento molto compatto, costretti a questo anche dalla natura del terreno, con appena un chilometro e mezzo di fronte. Ciò pose le basi per la vittoria di Annibale limitando la loro mobilità e portandoli all'accerchiamento e al massacro.

Dopo Canne il destino di Annibale e della Puglia si fondono in un solo divenire. Tredici anni trascorsi nel Sud Italia, soprattutto nella nostra regione, terra arida e ostile, punteggiata di ulivi in fuga verso un mare cobalto, di messi colorate di un giallo intenso. Terra di luce sospesa tra Oriente e Occidente, profumata d’Africa e così simile alla sua Cartagine. Anni che hanno segnato la nostra storia, rendendoci, in un certo senso tutti un po’ figli di Annibale. Già, perché come cantano gli Almamegretta: “Annibale sconfisse i romani, restò in Italia da padrone per quindici o vent’anni, ecco perché molti italiani hanno la pelle scura, ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri, un po’ del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene, si è rimasto a tutti quanti nelle vene, nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna, no se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue che ti scorre nelle vene”.

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