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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cultura

Terzapagina. Commemorare Pier Paolo Pasolini, intellettuale eterodosso e corsaro

Ieri, il 38esimo anniversario della sua morte: molti hanno ricordato il "valore" della figura nel panorama culturale italiano, ma il suo messaggio urterebbe ancora un Paese che non ha superate le contraddizioni da lui denunciate

LECCE - Le commemorazioni hanno un equivoco retorico di fondo: spesso si trasformano in agiografia. Per questo, non è un compito semplice provare a ricordare degli eventi storici o delle figure speciali, come nel caso di Pier Paolo Pasolini. Da ieri, sono 38 gli anni senza di lui, ossia dal brutale assassinio all'Idroscalo di Ostia.

Il refrain di queste ore è che un intellettuale del suo "valore" manca a questo Paese. Vero. Poeta, scrittore e regista rappresenta una delle figure più complete della cultura italiana. Ma è altrettanto vero che un conto è semplicemente dirlo, un altro pensarlo. Perché dietro al suo straordinario patrimonio di conoscenze, si cela il pensatore osteggiato dai più, persino dai suoi compagni di partito, che lo espulsero per "indegnità morale".

Del resto, dalle contraddizioni della società "piccolo borghese-cattolica", come evidenziava lo stesso Pasolini, non era esenti il Pci: in una risposta ad un lettore, scriveva che certi articoli de L'Unità "sembrano scritti con l'angoscia proibizionistica di una vecchia zitella". Chissà cosa direbbe di molti giornalisti, usciti da quella esperienza e diventati espressione del pensiero di destra o comunque asserviti alle logiche del potere.

La realtà è che uno come lui starebbe ancora sullo stomaco a molti, anche oggi, tra gli stessi che lo riempiono di elogi postumi. Aprire a caso una pagina di "Le belle bandiere" o degli "Scritti corsari" basterebbe a capire la durezza di un linguaggio, che non concede spazio al perbenismo ostentato degli "intellettuali di palazzo" e che mette all'angolo e stigmatizza la società capitalistica, fatta di paradossi e incoerenze.

Il suo messaggio è che un pensatore libero deve essere di per sé fastidioso ed urticante, non accondiscendente. Ma neanche in antitesi per principio, basti pensare alla sua difesa delle forze dell'ordine e, alla sua avversione per D'Annunzio, non basata come molti (solo) sul legame di quest'ultimo col fascismo, ma su un giudizio analitico della poesia ritenuta "pessima".

Il guaio è che la distanza che oggi separa il pensiero della nostra società dal suo si è fatta siderale. Ci sono quarant'anni di mezzo e la sua lucidità appare una profezia disarmante, dinanzi all'acuirsi dei mali di un Paese, diventato esattamente quello che Pasolini osteggiava, con l'istruzione e la cultura sotto assedio, le disuguaglianze sociali sempre più larghe e molti diritti civili ancora relegati ad assunti ideologici. E con gli "eredi" del partito di cui ha fatto parte, che oggi s'incartano in un congresso costruito a colpi di tessere e di correnti.

Già, quel Paese quarant'anni dopo non ha risolto molti dei suoi problemi. E forse, più che commemorare formalmente un uomo come Pasolini, dovrebbe riacquisirne lo sguardo eretico ed eterodosso di chi osserva il mondo con occhi diversi e profondi capaci di riconnettersi alla realtà. "Non c'è peccato peggiore, nel nostro tempo - scriveva -, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non si può scindere l'amare dal capire. L'invito evangelico che dice 'ama il prossimo tuo come te stesso' va integrato con un 'capisci il prossimo tuo come te stesso'. Altrimenti l'amore è un puro fatto mistico e disumano".

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