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Terzapagina. Dieci anni senza "Pirata": la fuga di un campione grande e fragile

Nei giorni in cui ricorre il decennale dalla scomparsa di Marco Pantani, un breve ritratto del campione romagnolo, che ha fatto sognare gli appassionati di ciclismo, prima della sua drammatica e complessa vicenda personale

Marco Pantani se n'è andato in una fredda mattina di dieci anni fa. È stata la sua ultima fuga, questa volta da una vita che gli ha regalato vittorie e successi, ma anche tanto dolore e solitudine. Perché la storia di Pantani, o meglio “Il Pirata” come lo chiamavano tutti i suoi tifosi, ci ha insegnato che si può essere grandi campioni e comunque soli, e soprattutto fragili.

Di lui ci rimangano le tante fantastiche vittorie, a cominciare dalla prima come esordiente in quel lontano 22 aprile 1984 a Case Castagnola. A quella vittoria, tante ne sarebbero seguite, segnate dalla sua voglia di vincere, di correre oltre la forza di gravità, di realizzare imprese impossibili, scalare vette e lottare contro tutto e tutti, anche la sfortuna.

Quella sfortuna che sembrava accanirsi contro di lui, con le tante cadute e gli infortuni, fino al terribile incidente del 1995, quando un'auto lo travolge durante la Milano-Torino provocandogli la frattura scomposta della tibia e del perone. Eppure, ogni volta, ci ha insegnato che ci si può rialzare e che, se ci credi veramente, nulla ti può fermare, ogni volta puoi tornare a correre più forte di prima. È per questo che la gente lo amava. Pantani era capace di far sognare tutti i tifosi con le sue straordinarie imprese, l'Alpe d' Huez, Le Deux Alpes, le vittorie al Giro e al Tour. Come quando, correva il 27 luglio 1998, Pantani volò via nel vento gelido del Col du Galibier, lasciando sul posto la maglia gialla Jan Ullrich, arrivando in solitario sull’Alpe D’Huez, l’Olimpo di ogni scalatore.

Pagine indimenticabili, scritte nel grande libro della storia di quello sport bellissimo che è il ciclismo. La frase più bella su di lui l'ha probabilmente detta Adriano De Zan, una vita passata a raccontare il ciclismo e le sue piccoli e grandi storie, quando, con la voce rotta dall'emozione, esclamò: "Non c'è niente da fare, quando la strada sale sotto i pedali...Marco Pantani è il più forte!!!". Già perché in salita “il pirata” era imprendibile, un uomo in fuga da tutto e tutti.

Sarà stato forse perché le salite sono un po' come la vita, devi soffrire e lottare per arrivare in cima, ma quando lui saliva sui pedali e scattava, nessuno riusciva a stargli dietro, nemmeno quel destino beffardo che una mattina, era il 5 giugno del 1999, segnerà per sempre la sua storia. Quella maledetta mattina di giugno a fermare Pantani furono i valori del suo sangue, il livello di ematocrito superava i limiti previsti dal regolamento: addio al Giro e quindici giorni di squalifica.

Per Pantani fu l'inizio della fine. Quello che scortato dai carabinieri si allontana a bordo di un'auto, non era più il pirata, il campione che tutti conoscevano e amavano. Dopo tante salite per Pantani iniziò una discesa senza fine, che lo avrebbe condotto in un abisso di solitudine e disperazione, fino alla morte. La mattina del 14 febbraio 2004 il cadavere del corridore fu rinvenuto in una stanza del residence "Le Rose" di Rimini. Ciao campione, chissà se lassù, a tenerti compagnia, c'è la tua inseparabile bicicletta.

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