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Terzapagina. L'anima in volo di Elisa tra testi italiani e suoni alla Coldplay

La voce friuliana torna con l'album "L'anima vola", che si arricchisce di importanti collaborazioni artistiche (Morricone, Sangiorgi, Ligabue e Ferro): sonorità "furbe" per la produzione di Davide Rossi, ma interpretazione ineccepibile

La voce è una certezza, fin da quando, con la sua presenza gracile, lo sguardo timido e l'abbigliamento un po' da figlia dei fiori, intonava "Labyrinth" lasciando di stucco le platee per l'abilità di disegnare le note e di emozionare. L'usignolo Elisa Toffoli, semplicemente Elisa, è tornato con un album che prende il nome dal singolo di lancio, "L'anima vola". A sedici anni da "Pipes & Flowers", l'album d'esordio, la cantante friuliana ne ha fatto di strada, nuotando tra il rock britannico, il pop e la melodia dei brani da colonna sonora.

Ma questo disco ha sicuramente una novità prevalente ed attesa: è interamente in italiano ed è la prima volta per l'artista, che si era cimentata in passato e con successo con la lingua madre, ma che non aveva mai rinunciato totalmente all'inglese. Il risultato linguistico è anche qui riuscito, perché la musicalità è l'essenza stessa del timbro e della versatilità vocale di Elisa, che riesce a modulare le parole e a consegnare loro un'emozione capace di arrivare dritta a chi l'ascolta. In tal senso, non poteva esserci titolo più azzeccato per l'album, visto che lei sembra far parlare l'anima.

Dal punto di vista strutturale, il disco si compone di 11 tracce, con una scelta stilistica molto chiara: un pop anglosassone, che sfocia nel rock leggero e che rimanda subito ai suoni internazionali dei Coldplay. Non un caso, vista la presenza degli archi e della produzione di Davide Rossi, che ha collaborato proprio con la band di Chris Martin (ma anche con Goldfrapp e Moby). Il suono è studiato nei minimi dettagli, è d'impatto, funziona, con arrangiamenti potenti ma calibrati. Si potrebbe dire maliziosamente che è furbo, distante dalla genuinità grezza dei primi album, ma l'intensità dell'interpretazione arricchisce il tutto.

E, infatti, è il suono a diventare croce e delizia. Perché nel racconto de "L'anima vola" la linearità smarrisce i guizzi e si affida troppo alla sola abilità di Elisa. I primi brani promettono un album arrembante, ma pian piano il disco perde d'impatto, si lascia ascoltare, ma senza i colpi d'ala promessi dal titolo-manifesto (basti pensare a "Maledetto labirinto", che cita solo nel nome il primo successo di Elisa, ma racconta con quel tocco elettronico la sua evoluzione discografica). Capita così che già in "Pagina Bianca", il secondo brano in scaletta, il ritornello sappia di già sentito, quasi una citazione di "Beautiful Day" degli U2.  

Così tra pezzi discreti ma con un vestito troppo simile, si arriva alle collaborazioni di cui è intriso l'album: sia Tiziano Ferro con "E scopro cos'è la felicità" che Ligabue con "A modo tuo" firmano dei pezzi sulla maternità; l'evocazione è più forte nel brano scritto dal rocker di Correggio, una ninna nanna, che racconta la genitorialità in maniera struggente, con l'occhio di chi osserva il figlio crescere e fa i conti col tempo e l'idea di doversene prima o poi staccare. Una delle migliori proposte dell'intero lavoro.

C'è poi "Ancora qui", musicata da Ennio Morricone ed inclusa nella colonna sonora di “Django Unchained” di Quentin Tarantino, fino a "Ecco che", scritto da Giuliano Sangiorgi e traccia del film di Veronesi, "L'ultima ruota del carro", che rappresentano gli altri due brani migliori della tracklist.

Nella sostanza, "L'anima vola" è un buon disco, delicato nelle atmosfere e semplice nella scrittura dei testi. Gradevole all'ascolto, ma a rischio appiattimento. Ma, come detto all'inizio, la certezza è nella voce di Elisa. E non è poco.

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