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Terzapagina. Fantapolitica generazionale e la tv "amarcord" sugli anni '80

C'è qualcosa di più reazionario di una celebrazione del tempo che fu? Per chi venerdì si è imbattuto dopo il film di Clint Eastwood su Mandela, nel talk presentato da Telese su Canale 5, la domanda non sembrerà campata in aria

Cosa esiste di più reazionario di voler argomentare sul nuovo attraverso la celebrazione di un tempo passato? Per chi, venerdì sera, si è imbattuto dopo il film di Clint Eastwood, dedicato a Nelson Mandela, nella puntata di Matrix, il talk presentato da Luca Telese, la domanda non sembrerà campata in aria. E forse all'interrogativo potrebbe dare già una risposta.

"Gli anni '80, il decennio d'oro" era il tema da cui partire per rispondere alla domanda "Generazione Renzi alla prova: rottamatori o bamboccioni?". Si trattava nella sostanza di  un dibattito con focus su abitudini, storie e aneddoti di una stagione, in una sorta di Amarcord applicato alla logica della politica odierna con un pretesto di attualità: cioè, domenica (oggi per chi legge) si vota alle primarie per la segreteria del Pd e i candidati, per la prima volta anagraficamente, sono gli esempi di una generazione al potere formatisi negli anni '80. Cosa cambierà?

La trovata sarebbe stata pure interessante. Ma la direzione della serata ha virato, forse non volutamente, da un'altra parte trasformando lo studio in un remake di un altro programma, "Anima mia". Cambiano gli anni di riferimento e in mezzo c'è il dibattito, cioè l'essenza stessa del talk, che finisce paradossalmente per anestetizzare ogni valido spunto. E così parole come "ottimismo" e "bellissimo" si mischiano con sorprendente continuità. E via con le citazioni sull'urlo di Tardelli, sul pentapartito, sull'avvento dei videogiochi, su Dallas, Drive In e i cartoni animati.

Tutto acquista le sembianze di un quadro nostalgico davanti al quale lo spettatore assonnato si deprime ancor più che guardando il colore stinto del proprio pigiama. E senza un briciolo di brio, visto che il "rimpianto delle cipolle d'Egitto" non sia propriamente un'argomentazione recentissima.

A rendere ancora più palese la dicotomia tra il desiderio di parlare di "novità" rimpiangendo il passato ci sono gli ospiti: Alba Parietti, che passa dal compiacersi dei trascorsi da cantante di discomusic all'endorsement pro Civati, mentre di fianco gli siede un avvilito Giampiero Mughini, in versione Cacciari. Cioè, del presenzialista infastidito da ogni parola altrui.

Aldo Cazzullo in lontananza, autore di un libro sulle generazioni, evidenzia la differenza tra il "noi" degli anni Settanta e l'individualismo del decennio successivo. Ed è il nocciolo della sua pubblicazione. Da contraltare fa Andrea Scanzi, l'unico a far parte della generazione dei quarantenni di cui si discute, che, però, nello strano gioco dei ruoli, è il più pessimista nei confronti dei propri coetanei, indirizzando subito la critica su Renzi come "Jerry Calà della politica italiana".

Mughini gli ricorda che "Ciascuno risponde per sé, non per gli altri quarantenni", chiarendo che le generazioni non esistono. Solo che Cazzullo e Scanzi hanno scritto due libri sulle generazioni e la puntata stessa è dedicata a questo tema. Non si può, insomma, chiudere baracca e salutare. Quindi, si va avanti, più per inerzia che per reale convinzione.

Nel frattempo, appare anche Pietrangelo Buttafuoco che chiarisce subito "Vorrei evitare la trappola della celebrazione". Solo che vale solo per il decennio, visto che come una litania, ad ogni intervento non riesce a fare a meno di citare Bettino Craxi e di insistere un po' subdolamente sulla sua riabilitazione.

Si paventa pure Lory Del Santo e Telese le chiede: "Senza essere celebrativa ma rievocativa dicci qualcosa di quel periodo". E lei lo prende proprio alla lettera e non celebra affatto: "Era un periodo di grandi possibilità, frizzante, godereccio, dove tutto poteva succedere, perché c'era un po' meno democrazia". Parole testuali. Forse un tantino celebrative, ma è un dettaglio.

In tutto questo, la politica e il dilemma sulla generazione dei quarantenni al potere compare raramente, in genere nelle metafore e nei cliché. Per cui Renzi è Fonzie di Happy Days. Un karma, un destino. Poi compare il video in cui rivendica la crescita a merendine e serie tv. Poco dopo c'è Civati, invece, che dice no a merendine e serie tv e che definisce il sindaco di Firenze più socialista che democristiano.

Di Cuperlo si hanno notizie solo nella battuta di Scanzi che lo inquadra come uno che "Già da piccolo leggeva Kierkegaard". Poi Kierkegaard lo cita pure la Parietti assieme a Wilde. Il dubbio che ne deriva è che ci sia un pregiudizio sulla passione di Cuperlo per la filosofia.

Ma il capolavoro arriva nell'intervista di Civati: dopo una serata sul Renzi-Fonzie, alla domanda sulla serie televisiva preferita il "rosso" brianzolo risponde "Happy Days". Della serie, non c'è nulla di sicuro nel Pd. E, infatti, nello studio c'è il panico per questa dichiarazione di Civati, perché "Happy Days" è una serie "conservatrice".

Fortuna che c'è Cristina D'Avena e d'improvviso "il pantheon della nuova generazione" si sgretola dinanzi all'ontologia dei puffi blu. Verità che resistono al tempo e alle evoluzioni.

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