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Terzapagina. Buio, smarrimento e speranza in "La strada" di Comarc McCarthy

Esistono romanzi che si distaccano dagli altri perché sembrano scritti non da un autore ma da tutta l'umanità: è il caso di questo testo, edito da Einaudi, già vincitore del premio Pulitzer nel 2007. Un libro capace di sorprendere

Esistono romanzi che si distaccano dagli altri perché sembrano scritti non da un autore ma da tutta l’umanità; sembrano possedere non soltanto la forza e l’enigma dell’esistenza stessa ma anche una potenza intrinseca estranea alla mano di chi li ha scritti, indipendente dalla sua volontà.

La strada ( Einaudi, pp 218, 12 euro) di Cormac McCarthy è uno di questi. La forma del romanzo, vincitore del premio Pulitzer nel 2007, si fonde con la sua sostanza in modo perfetto, diventando una cosa sola e creando l’impressione che la storia si racconti da sé, utilizzando l’unico linguaggio possibile, l’unica mescolanza di suono e ritmo che aderisce precisamente a ciò che descrive. Ed è così che la trama diventa necessaria, imprescindibile ma, nello stesso tempo, misteriosamente superflua: il silenzio ne è il vero protagonista, e porta con sé tutte le parole essenziali , tutto ciò che solo il silenzio ( raccontato per mezzo di parole) può esprimere.

Due esseri umani, un uomo e il proprio bambino, chiamati semplicemente uomo e figlio, attraversano un mondo post apocalittico in cui la luce e il calore non esistono più, in cui una perpetua atmosfera di piombo ha sostituito i colori. L’uno il mondo intero dell’altro. Camminano verso il sud di un Luogo senza nome che può essere tutti i luoghi, in un Anno senza data che può essere tutti gli anni. Cercano il tepore di un sole ormai livido che “ gira intorno alla terra come una madre in lutto ”.

Gli animali si sono estinti e gli esseri umani sopravvissuti hanno “i calcoli del rettile dietro gli occhi freddi e sfuggenti. I denti grigi e marci. Impastati di carne umana ”. Non un suono al di fuori del vento. E lo strascico dei loro piedi che, ammantati di cenci per non sentire il freddo, percorrono arrancando la strada grigia alla ricerca della sopravvivenza.

Eppure in quest’opera misteriosa, pervasa di buio e di smarrimento, la speranza esiste ed è racchiusa nella bontà: mentre il mondo e le esistenze si sgretolano, l’essenza estrema del tutto appare con nitidezza, si mostra spogliata da tutto il resto, si impone con la forza della sua evidenza: è incarnata nella figura del bambino, residuo sfilacciato di un’umanità perduta, involucro fragile portatore di purezza, “ buono tra i buoni” . Un Cristo lercio che si trascina stancamente, troppo umano, troppo nostro per risorgere.

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