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Enzo Petrachi: “Lecce snobba il folk, ma per papà sarà una grande festa popolare”

Le melodie di Bruno Petrachi, scomparso nel 1997, sono nel dna della città di cui è stato l'indiscusso cantore. Ma, quasi 20 anni dopo, il figlio lamenta una sorta di indifferenza nei confronti di un genere musicale che è la storia stessa di questo territorio

LECCE – Tutti a Lecce sanno che Bruno Petrachi è stato il protagonista indiscusso del folk. Scomparso nel 1997, è rimasto nel cuore di intere generazioni. E ancora oggi, in alcuni spaccati di vita cittadina, a dire il vero sempre più residuali, le sue note riecheggiano come a ricordare l’orgoglio di un’identità popolare.

Dopo la sua morte, su questo particolare genere è calato il sipario, quasi che, a fronte della riscoperta e della rielaborazione delle tradizione musicale rurale (pizziche, tarantelle, canti alla stisa, canti di lavoro) attorno al fenomeno della Notte della Taranta, il capoluogo si sia vergognato di avere delle origini semplici. Un poco come accade quando il salotto ovattato ignora le periferie per farsi bello agli occhi dei visitatori.

Ma così come la pizzica – di cui pure fino agli anni novanta ci si vergognava perché associata ad un’epoca di miseria e di un forte condizionamento sociale nei confronti della donna – è stata sdoganata grazie ad un’accurata operazione politica e culturale, anche il folk leccese potrebbe ritrovare lo splendore di un tempo a condizione che gli amministratori si convincano della piena dignità di questo pezzo di storia cittadina. 

In questa intervista, Enzo Petrachi, il figlio di Bruno, racconta, non senza amarezza, il suo punto di vista nell'imminenza di un concerto che si terrà martedì sera presso Villa dei Pini (ingresso gratuito).

Tuo padre, Bruno è stato il cantore di Lecce, della sua anima più semplice. Le sue  melodie hanno scandito la vita soprattutto nei quartieri popolari, e risuonano ancora oggi allo stadio.  Eppure sembra che sia mancato il giusto riconoscimento della sua opera e anche uno studio di tutto il suo percorso. Cosa ne pensi?

Prima si percepiva più attaccamento e c’era molta più attenzione da parte degli amministratori nei confronti del folk: non c’era festa di Sant’Oronzo che non vedesse un’esibizione di papà. Tra l’altro è stato l’unico, e per molti anni, a  portare musicalmente il nome di Lecce anche all’estero. Purtroppo chi governa oggi non dà a quella tradizione l’importanza che merita: forse perché quando papà era in attività si ascoltava un altro tipo di musica. Così accade oggi che la città mi snobba, nei centri più piccoli invece ho un riscontro totalmente diverso.

Il successo che hai riscosso in piazza Sant’Oronzo, la sera del 26 agosto, cantando le canzoni di tuo padre, lo hai vissuto come una sorta di riscatto?

Nei miei pensieri c’erano i concerti di papà con cinque, seimila spettatori, più di quanti ce ne fossero quest’anno in una piazza comunque entusiasta. Quando sono sceso dal palco il pubblico avrebbe voluto che continuassi, ma io ero ospite di Giro di Banda;  anzi, ringrazio Cesare Dell’Anna che mi ha voluto e che portato anche alla Notte della Taranta, nel 2009, con Simu leccesi, core presciatu. Cosa che forse avrebbe dovuto fare qualcun altro che può dire la sua nell’organizzazione della manifestazione. La canzone leccese viene ignorata, quasi vista con vergogna, quando invece è la storia del nostro sangue, della nostra terra.

Qual è il testo con il quale identifichi di più il leccese medio, con i suoi pregi e i suoi difetti?

Io amo la gente semplice, quella che non si fa scrupolo se davanti ad altre persone, per esempio, vuole dire beddhra mia alla propria compagna. Secondo me Ndaticchia mia rappresenta ancora quel tipo di leccese, genuino, che vive con poco.

Martedì sera, alle 21, un concerto evento con molti ospiti presso Villa dei Pini. Ci dici qualcosa di più?

E’ da tempo che volevamo organizzare qualcosa di importante: cinque anni fa si era pensato addirittura di fare un festival dedicato a Bruno Petrachi nella villa comunale , poi non se n’è fatto più niente così come non ha avuto esito l’idea, di cui pure si è parlato, di intitolare a mio padre una via della città. Poi mi ha chiamato il mio amico che ha in gestione Villa dei Pini e mi ha proposto la sua location. Alla vigilia posso dire che sono molto gratificato dalla sensibilità di tanti miei colleghi che si sono proposti e peraltro gratuitamente, per stare con me, per onorare papà: Terron Fabio, Mino De Santis, Claudio Cavallo, Cesare Dell’Anna, Rankin Lele, Papa Leu, Enza Pagliara. Ci siamo tutti formati sulle canzoni di papà anche se poi abbiamo preso ciascuno la sua strada. Ci tengo a ringraziare anche i vigili del fuoco che presteranno assistenza gratuitamente nel suo ricordo: anche lui era nel corpo, così come lo sono io. L’ingresso è gratuito, chi vuole può cenare, chi vuole si può portare la sedia da casa. Sarà una serata per stare in allegria, per grandi e bambini.

Infine, qual è il futuro per la musica folk secondo te?

La verità è che le decisioni spettano a chi amministra, a chi decide le politiche culturali e il cartellone degli eventi. La mia proposta è nota, ma se dall’altra parte non c’è risposta il folk leccese rischia di rimanere nel cassetto. Io ho in programma un lavoro inedito di 10-12 pezzi inediti che racconta le vicissitudini della città, ma non posso fare tutto da solo. Bisogna guardare la realtà: quest’anno nei paesi ho cantato tantissimo e non solo in terra salentina, mentre a Lecce è tutta un’altra storia. C’è anche un altro progetto in serbo per cercare di rilanciare con entusiasmo il folk nella città capoluogo: si chiama Petrachi and folk band e ci vedrà impegnati nei locali anche d’inverno con una formazione in acustico composta da Carla Petrachi, Andrea Luperto, Tanino Delli Carri e Claudio Grasso.

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