"Jazz-City-Fight”: la mostra al Corto Maltese
"Jazz-City-Fight”, muove lungo questi tre temi la personale del salentino Antonio Durante, in esposizione al Corto Maltese di Lecce (via Giuseppe Giusti) fino a domenica 7 gennaio 2018.
30 opere in mostra per raccontare, con il rigore dell’ingegnere e l’estro dell’artista, l’atmosfera del biennio trascorso a New York da ricercatore, attraversando la malinconia del jazz, il tripudio della city, la sofferenza della boxe.
Così nasce, in un luogo che sembrava tanto lontano da confondere il presente con il futuro, il germe di queste opere che riescono a catturare su tela il fascino più profondo dello spirito americano.
Nei locali newyorkesi l’aria è densa di musica nera e il “Jazz” diventa un’atmosfera da fermare su tela, dove lo sfondo scuro viene spezzato dalla luminosità del bianco, il colore che accende non solo il musicista ma anche lo spettatore, trasformando lo sforzo del volto nella promessa del riscatto. D’altra parte, Antonio Durante è nella “City”, la città che con le sue luci abbaglia e lusinga, la città che dà forma ai sogni, che racconta di successi e vittorie. “Ho guardato in lontananza dal lungomare la statua della Libertà con l’Atlantico sullo sfondo e ho pensato a mio padre, che non c’era più” – racconta l’artista – “Mi sono voltato e, guardando i grattacieli dietro di me, ho percepito il futuro che mi era davanti ed ho avvertito il cuore colmo di coraggio e di un’audacia mai provati fino ad allora”. Ed eccole nei dipinti della City quelle pennellate di luce che confondono, lasciando brillare solo l’anima più autentica della metropoli: il frastuono delle insegne e delle pubblicità, un taxi giallo che corre veloce al ritmo della Grande Mela ed infine la Statua della Libertà, simbolo del sapere e quindi di potenza. Ma la potenza è anche quella fisica del boxer che combatte e vince, superando se stesso prima che l’avversario. È così che “Fight”, la rappresentazione di Alì, il pugile che vinse sul ring e nella vita, diventa la vittoria di ogni uomo che nella battaglia quotidiana affronta l’esistenza, ciascuno con i propri dibattimenti interiori e le proprie contraddizioni.
In definitiva, pare che sia proprio questa l’arte di Antonio Durante, ingegnere e pittore, quella di mettere insieme i contrasti riuscendo a farli deflagrare nella luce della riscossa.
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La vita
Antonio Durante, salentino doc, è nato 46 anni fa a Lecce, dove studia e si laurea in Ingegneria dei Materiali per Applicazioni Aeronautiche ed Aerospaziali presso l’Università del Salento. Dopo la laurea, si trasferisce a New York per due anni, durante i quali lavora, in collaborazione con Alenia Aerospazio, come ricercatore scientifico presso la Lehigh University in Pennysilvania e come consulente ingegnere specialista sui materiali avanzati per Material Connexion di New York, per la quale lavorerà per un periodo anche a Milano. Al ritorno in Italia, quindi, lavora alla Sineco S.p.A. di Milano e alla Leonardo Divisione Elicotteri (ex Augusta Westland, ex Finmeccanica) presso il centro di eccellenza di materiali compositi di Anagni, in provincia di Frosinone, dove lavora stabilmente da dieci anni. Qui vive con la moglie Laura e con i suoi meravigliosi bambini, Gaetano e Riccardo, coltivando sempre l’America nel cuore e la passione per la pittura.
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Il critico:
Sull’opera di Antonio Durante and All that Jazz
di Massimo Guastella*
La relazione tra musica jazz e le diverse espressioni dell’arte visiva dalla metà del secondo novecento sono molteplici, e non sto qui a elencarle, perché non è con questo ovvio collegamento che si possono spiegare le opere di Antonio Durante, che sceglie il tema di questa sua serie eseguita da un decennio a questa parte, quale stretta connessione col suo vissuto a New York, abitando a Brooklyn. Gli è rimasto dentro il piacevole fascino dei luoghi della city, dove ha soggiornato per circa due anni e che, come dicono gli autoctoni, l’ha portato a pensare, vivere e sentirsi un newyorkese, con una postazione di osservazione privilegiata, direi a bordo ring. Nella Big Apple lo ha indirizzato la ricerca scientifica e tecnologica. Eppure ogni suggestione maturata in quell’esperienza l’ha indotto a esprimerla esteticamente e a convincersi di riprendere in mano i pennelli per dare esito a queiritinerario d’apprendimento artistico intrapreso sin da bambino alla scuola d’arte serale “E. Maccagnani”, di Lecce, e svolto in parallelo alla sua formazione scolastica e universitaria. Così, se pur il lavoro l’ha sbarcato su tutt’altri lidi, è accaduto che la vocazione e la sensibilità per l’arte visiva - già manifestata da animatore della galleria d’arte “Il Grifone” - siano riaffiorate come urgenza della sua vita. Con un’anima che si divide tra ingegneria e creatività, Durante ha avviato la nuova produzione che non va considerata un esordio vero e proprio, ché una prima esposizione si registra tre anni fa’ nel frusinate, dove ora vive con la famiglia. Nella serie Jazz-City-Fight, riproduce con trasporto, più sentimentale che mnemonico, le strade di Brooklyn e Manhattan, chi le popola, i locali frequentati, preponendo, su tutti i soggetti, i musicisti jazz. Nel formato tradizionale del quadro a parete i jazzisti di colore emergono, ognuno col proprio strumento, tra bagliori di luce che si fanno strada attraverso il fondo buio, dando risaltato al bianco delle camicie; suonare più che un mestiere è una epifania.
So per certo che il “novello” artista quando dipingeva la nuova serie non conosceva l’immagine fotografica che invece ritorna in mente a me: Louis Armstrong, fissato sulla pellicola polaroid da Bert Stern sul finire degli anni cinquanta; ma in quell’icona del grande trombettista «la precisione dei dettagli e la gradazione dei valori del bianco e del nero sono» per Anke Solbrig, e non di meno per effetto del medium, «perfetti». Nei lavori di Durante la contaminazione fotografica è solo un appunto iconico da uno scatto, e specialmente non vi si riscontra una puntualità ovvero perfezione descrittiva. Le scene si lasciano percepire attraverso gesti svelti delle pennellate di colore, talvolta ispessito nel sovrapporsi. Mentre le osservo, cerco di chiarire cosa intuisco: la fugacità di un’azione; una particolare postura del musicista; lo scorcio metropolitano meno rituale; angoli visuali utili a riprendere le tante, ineffabili luci; il via vai inarrestabile dei yellow cab; la presenza dei cops pare più che di regolatori del traffico di domatori di caotiche frenesie; il muoversi plastico ora scattante ora lento del boxer, il mitico Alì. Né manca negli occhi del New Yorker a tempo lo skyline - immagine inflazionata - dei grattacieli con la statua della Libertà illumina il mondo, suo titolo originario.
Durante ci restituisce nelle composizioni tutte queste situazioni eccitanti. Nel rappresentare non cerca un momento culminante da fissare ma l’espressione evocativa d’un insieme d’atmosfera che l’ha circondato. Inquadrature e ampie gamme cromatiche interpretano questi suoi pensamenti traducendoli in figurazioni di intensa carica espressiva: delinea forme, distende acrilici, oli e resine, interviene guarnendo il soggetto con gesti segnici e sgocciolature si raggrumano sui supporti cartacei stampati, incollati alla tela. Assimilando sempre meglio il mestiere, costruisce rigenerati combine-paintings su pagine gialle e mappe della subway di New York, quasi dei ready made rettificati, che se dal versante simbolico localizzano in maggior misura la serie d’altra parte assumono un nuovo valore meramente grafico.
Tutto questo «cosa è, se non jazz?», mi comunica Antonio in questi mesi di serrata, confidenziale militanza col suo dipingere frenetico in ogni ritaglio d’ore disponibili, «la metropoli è jazz, come anche il pugilato, lo stare sul ring è jazz. Il jazz è nelle nostre teste». Se il critico fosse «una persona dotata di spirito profetico sarebbe in grado di affermare» - ho usato una felice espressione di Ernst H. Gombrich - quanto sarà interessante agli occhi del pubblico questa produzione di Antonio Durante al confronto dell’ampia varietà di declinazioni e nel pluralismo delle opinioni dell’arte d’oggi; al momento mi sovviene solo il titolo di un gran bel film girato agli sgoccioli degli anni settanta da Bob Fosse: All That Jazz.
* Il Prof. Massimo Guastella è Docente di Storia dell'Arte Contemporanea all’Università del Salento – Lecce; Responsabile scientifico Laboratorio TASC Territorio, Arti visive e Storia dell’Arte Contemporanea; Direttore scientifico CRACC (Conservazione e Ricerca Arti e Culture Contemporanee srl spin-off UniSalento); Direttore scientifico del MAP, Museo Mediterraneo dell’Arte Presente.