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Antonio Mazzotta, l’artista che dava forma alla materia per liberare l’uomo

Fino al 10 settembre, nella galleria della Società Operaia, un viaggio tra le opere del maestro leccese alla scoperta di una ricerca in continua tensione tra essere e divenire

LECCE - “Non chiamatela retrospettiva”, perché quella organizzata presso la sala Maccagnani della Società operaria di Lecce in onore dello scultore Antonio Mazzotta non lo è. Si tratta invece di un tributo, un vero e proprio omaggio della famiglia, degli amici e degli estimatori alla figura di un uomo tanto noto quanto discusso ma sicuramente amato da tutti.

L’idea, stando alla curatrice dell’evento, la figlia Yvonne, pedagoga teatrale e attrice, era quella di celebrare l’uomo, il padre, l’amico la cui parabola artistica ed esistenziale “ha segnato un punto importante nel panorama della storia dell’arte contemporanea”, come ha avuto modo di sottolineare nel corso della serata anche Massimo Guastella, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’università del Salento, nonché direttore scientifico del Map di Brindisi.

Un intervento, quello di Guastella che, pur con l’intenzione opposta, non si è sottratto a quel circolo vizioso che vede Mazzotta cristallizzato nella sua veste originaria d’artigiano. Nemmeno soltanto per lui l’abito dovesse fare, a forza, il monaco. Quasi che, riferendoci al premio Nobel Eugenio Montale, prima che come poeta e letterato lo definissimo “giornalista”; o facessimo di Pasolini solamente un “insegnante”. Professioni certamente rispettabili che entrambi esercitarono con profitto ma che non possono restare appiccicate addosso come “etichette” a degli uomini che meritano d’esser ricordati per impegni di ben altro spessore. E non se la prendano a male gli esponenti di queste categorie professionali, perché l’intento era quello di far comprendere come, spesse volte, ci sia bisogno di uno sguardo “altro” e libero da condizionamenti e luoghi comuni per parlare dei protagonisti della storia e della cultura del nostro Paese. Anche se il “paese” a cui ci riferiamo è Lecce.

Ed era, forse, il medesimo obiettivo che il docente di storia dell’arte contemporanea si era posto affidando alla dottoressa Antonella Ligorio, anch’ella intervenuta al vernissage, una tesi di laurea proprio sull’artista leccese. Un primo passo, questo l’auspicio di Guastella, per sprovincializzare l’immagine troppo spesso ghettizzata di uno dei protagonisti della scena culturale. “Un personaggio che nell’arco di una fiorente e poliedrica attività artistica non ha mai inteso rinnegare l’intima connessione con l’abilità del “fare” sviluppando, ancora prima di Artigianarte, un metodo per superare il risultato immediato della simbiosi artigianato-artista”.

Parole che ha usato anche la moglie dell’artista, la poetessa Vanda Grazia De Giorgi, nella sua intensa e sobria introduzione, mettendo in risalto che sin dal primo momento il rapporto di Antonio Mazzotta con la scultura ha voluto scardinare le esigenze di funzionalità legate alla dimensione fissa dell’artigianato, per vivere quella più dinamica dell’arte “abitandola con la sua stessa vicenda umana e artistica che meriterebbe di essere raccontata non soltanto per la valenza di un autore di raro pregio ma anche, e soprattutto, per la schiettezza e la purezza del suo messaggio”. Quello, per usare le parole di Mazzotta il quale, a sua volta, citava Ghoete “che alla fine del viaggio siamo la somma di ciò che abbiamo amato”.

Nato a Lecce nel ‘46 da un padre intagliatore, Mazzotta trova il suo ambiente naturale nella bottega del genitore, in via Corte Anibaldi, il quale sin dal primo istante ne coglie le potenzialità non tardando a trasmettergli un sapere già allora in via d’estinzione. Gli interessi nel campo delle tecniche si fanno presto abilità, e tra le mani del giovane Antonio la creta prima e i metalli dopo assumono la caratteristica di materia narrante, ovvero di linguaggio vero e proprio con cui il futuro “creatore di mondi in divenire” proverà a descrivere le proprie suggestioni.

Cruciale la sua formazione, a cavallo tra l’avanguardia postbellica e la sperimentazione d’oltre Oceano dei maestri della Popart, che ne ha segnato il passo e le scelte, peculiari, volte alla scanzonata derisione dell’establishment artistico attraverso gli strumenti a esso congeniali: le opere, realizzate, però, con materiali poveri e di recupero. Approfondendo la conoscenza di queste ultime, tuttavia, si può andare ben oltre la coesistenza della matrice artigianale con quella artistica giungendo a scoprire la ricerca, volutamente ironica, che contraddistingue Mazzotta e lo svicola dal pervicace errore di ritenerlo un mero manovale.

Ciò nondimeno “un certo snobismo culturale ha fatto sì che perdurasse quest’idea di fondo, peraltro dimentica della caratteristica inquietudine che si cela dietro ogni opera di Antonio Mazzotta”, ha spiegato Massimo Guastella alludendo alla formazione tipicamente manuale dell’artista leccese, e rimarcando, nel contempo, “la sua smania di muoversi verso indagini di carattere estetico che, ben presto, gli hanno fatto trovare una ben definita cifra stilistica.”

Guastella, a tal proposito, ha citato una delle opere esposte nella galleria di corso Vittorio Emanuele II dal titolo “Meteora”, del 1968, che rappresenta un punto di svolta di quella ricerca e segna, indiscutibilmente, un notevole balzo in avanti rispetto a molti cosiddetti “artisti” coevi la cui sperimentazione non andava oltre la raffigurazione di “coppole, balconi fioriti e carrozzelle”.

Un artista eclettico, Mazzotta, il cui lavoro non scaturisce come suggerirebbe il termine dalla caotica e incongruente produzione di opere, ma da un’introspezione che mira all’emancipazione e all’autodeterminazione. Aspetti fondamentali che in Mazzotta si estrinsecano anche nella sua gioviale e onnipresente presenza di spirito riassunta nella frase “Grazie a Dio sono ateo”, che tanto lo faceva sorridere e che era propedeutica a svelare “l’infinito che è dentro ognuno di noi”.

Significativa la registrazione della sua stessa voce con cui, durante alcune fasi della lavorazione, incitava michelangiolescamente la materia grezza a liberare la sua vera essenza: “Uomo, vieni fuori, vieni fuori!”

E Mazzotta l’uomo lo cercava disperatamente; cercava se stesso e la propria dimensione nel mondo e nella materia, com’era evidente in certi dettagli delle sue creazioni, quale una chiave inglobata nel vetro, metafora di una vita consapevole delle vie di fuga eppure vincolata alle fragilità estreme dell’individuo. Un cammino compiuto assieme ad amici e colleghi come Pietro Liaci, Giovani Valletta e Vittorio Di Mastrogiovanni, quelli che Antonio Mazzotta chiamava “i compagni di strada” con i quali aveva condiviso convivi, esperienze e un manifesto che nel 1989 prese forma, come argilla nelle mani dello scultore, nel gruppo di arti visive “Arco”.

mazzotta-4-2L’arco era anche il nome della bottega situata in via Marco Basseo ove si riunivano le menti del cenacolo di artisti che, quanto e come lui, scansavano il dibattito dell’arte per l’arte. Erano gli anni in cui nei salotti culturali d’Italia e del resto d’Europa si parlava dell’incancrenimento dell’arte, dell’arte svanita e svilita, quella senza più temi e argomenti. L’arte che il “gruppo degli artigiani” fu in grado di reinterpretare con una produzione poi definita “il periodo degli assemblaggi”, da cui nacquero sculture e istallazioni fondate sul recupero e il riutilizzo di materiali differenti ma convenzionali.

“Il maggior pregio di Mazzotta – ha concluso Guastella – è stato quello di consegnarci l’estrema sintesi artistica di un messaggio la cui complessità è ancora tutta da svelare. Egli ha saputo legare la semantica al simbolo restituendo dignità ai materiali reali.” E annullando la dicotomia tra arte e artigianato, varrebbe la pena di aggiungere.

Il vernissage, tra momenti di poesia, musica e un toccante contributo video realizzato dalla figlia dello scultore, Yvonne Mazzotta, ha visto una grande partecipazione di personaggi noti nel panorama culturale del capoluogo, ma anche un notevole afflusso di semplici curiosi che hanno potuto visitare l’esposizione delle opere, allestita con grande cura, che rappresentano alcune delle fasi salienti nella produzione pittorica e scultorea di Mazzotta. Da segnalare la presenza dei musicisti Lucia Rizzello e Luigi Bisanti, docenti, tra i numerosi altri titoli e qualifiche professionali e onorarie, del Conservatorio musicale Tito Schipa di Lecce, i quali hanno eseguito alcune piacevolissime suite, tratte dalle maggiori opere sinfoniche di Bizet, Mozart e Ponchielli, tanto care all’artista. Le opere di Mazzotta saranno ospitate nella galleria della Società operaia fino al 10 settembre prossimo.

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