“Il Castello dei tranelli”, in scena per un pubblico senza pregiudizio
“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti”. William Shakespeare.
Sono tante le frasi e le citazioni su cosa è, e non è, il teatro, ma visto che il Castello di Corigliano d’Otranto sarà il palcoscenico naturale dello spettacolo interpretato dagli attori del Centro di salute mentale di Lecce, il drammaturgo e genio inglese aiuterà forse, con quella sua citazione, a consegnare il lasciapassare verso l’universo teatro, lì dove farsi trasportare dal gesto e dalla parola non ha pregiudiziali.
Si intitola “Il Castello dei tranelli, alias dove devo andare”, la rappresentazione teatrale itinerante per la regia di Aldo Augieri, interpretato da 22 attori del Csm, che andrà in scena venerdì prossimo, 29 giugno, nelle sale del Castello di Corigliano d’Otranto. Sipario ore 21.
Uno spettacolo che, grazie al lavoro di psicologi, addetti ai lavori, volontari del settore che operano da anni per sdoganare la disabilità mentale dal suo mondo tristemente circoscritto e aprire a quel modo di interpretare la vita che noi chiamiamo “normalità”, si appresta a entrare in scena e a sfidare se stesso. Chapeau.
La collaborazione a questa sintesi, per una fruizione della messa in scena senza il pregiudizio della disabilità mentale, parte da lontano: associazioni come l’Astsm, Teatro di Ateneo, Naviganti Centro diurno, Teatro dell’asfalto, lavorano da anni con i loro laboratori, per inventare, sceneggiare parole, gesti, emozioni, espressività corporee delle persone con disabilità. Sulla scena nessuno è normale.
“E’ un lavoro scritto interamente nel Centro di salute mentale di Lecce - spiega il regista Augieri -, dove ho cercato di raccogliere quante più testimonianze e quante più visioni possibili per riuscire in una drammaturgia che potesse in qualche modo incuriosire. Tutto nasce dal fatto che il Castello dei tranelli ha due sovrani, il re e la regina Ginevra, ossessionati da un certo taglio del capelli”.
“Ecco perché la loro setta si chiama la setta dei belli capelli. Da qui sono nate tante storie di personaggi, di sudditi che simpaticamente reagiscono e in qualche modo – aggiunge - vengono assoggettati a questa visione della vita in cui bisogna essere tutti uguali e appartenere tutti ad un certo credo ed ad una certa idea. Un po’ noi abbiamo lavorato su questa nascita di tribù o di comunità legate soltanto ad un unico concetto estremista che li rende chiusi e bigotti.
“Altro è stato scritto attraverso prove e improvvisazioni, ascolto, e come al solito lavorare in questi ambienti - conclude il regista - è affascinante, perché porta a incontrarti con una certa umanità, che poi si incontra benissimo con il teatro”.