Wop: spettacolo teatrale satirico di Ultimo teatro
Wop: operetta ironico crudele sulla banalità del male e sulla nostra nazione,
scritto, diretto e interpretato da Luca Privitera e Elena Ferretti, musiche di Raffaele Ferro con il sostegno di Masseria Jesce, La Casa di Michele, Ferula Ferita Azione Teatrale, DnArt Gallery ideato da Ultimo Teatro Produzioni Incivili.
incipit: << Penso che sia disonesto dire che la gente bianca, che vive in una società razzista, che ha un'educazione razzista da parte di maestri razzisti e spesso con parenti razzisti, che legge libri razzisti, che guarda una televisione razzista, etc, etc, non è affetta da razzismo. Chiunque vive in una società razzista è affetto da razzismo. La gente bianca deve preoccuparsi del razzismo su due piani: a livello politico e a livello personale. E questa è una battaglia di tutta la vita per chi è seriamente interessato a lottare contro il razzismo. >>
Frammento di un'intervista fatta a Assata Olugbala Shakur (attivista e rivoluzionaria statunitense di origine afro-americana) apparsa nel 1991 su Crossroad. Il titolo WOP prende spunto sia dalla doppia definizione utilizzata dagli Agenti Americani per denominare gli italiani, sbarcati a fine '800, e cioè: la storpiatura di guappo (italiano mafioso) e dall'acronimo di without papers/passport (persona senza documenti); sia dal dialetto Altamurano, riferendosi a WOP come soggetto gradasso.
Viaggiando, leggendo i giornali e ascoltando le persone, ci siamo chiesti più volte: cosa sta succedendo al cittadino italiano? Cosa ha perso? Cosa sta dimenticando? Cosa è accaduto veramente?
La scrittura di Wop, infatti, è stata una sorta di antidoto per uscirne fuori, per rimanerne immuni, per guarirci. E in tutto questo, non poteva che venirne fuori uno spettacolo razzista nel senso più becero e vigliacco del termine, lo specchio della crisi, la nostra crisi. Esiste, pur non esistendo. Tutti la conoscono, ma tutti fanno finta di non esserne contagiati. Un modus vivendi che si insinua come un virus, tutti i giorni, in ogni attimo, dentro e fuori di noi. E non risponde alle nostre domande, non suggerisce delle soluzioni. È unicamente, tutto il peggio che abbiamo trovato. I risultati delle nostre indagini, del nostro spiare la società, la famiglia, gli amici, gli sconosciuti. È la perdita e lo spaesamento che ci portiamo dentro. E che schifo in tutto questo populismo dei luoghi comuni, dei pregiudizi, della paura, della violenza. E quanta bestialità!
Guardandoci da una certa distanza, sembriamo un popolo di alienati che ha solamente voglia di ridere, con cinismo, con ipocrisia. Imperterriti, ripetitivi, sempre allo stesso punto e con le stesse congetture. Un luogo dove la disgrazia altrui, si trasforma nella propria fortuna. Ed è proprio in questo humus che i due personaggi dello spettacolo, portano alle estreme conseguenze una visione distorta della realtà, creando a sua volta: degenerazione linguistica, psicologica, morale.