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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Terzapagina. L’insostenibile attesa del "quid" nell’euforia del media event

Sarà colpa dell'inesorabile avvicinamento della profezia dei Maya, ma, dalla politica alla religione, passando per il calcio, si fa largo il genere letterario dell'aspettativa fine a se stessa e trasformata in "esigenza mediatica"

L’atmosfera è quella da “non so, ma qualcosa deve pur succedere”. Sarà che l’inesorabile avvicinamento della profezia dei Maya o la più religiosa attesa del Natale hanno iniettato un virus specifico nell’aria, ma, fatto sta, che la contaminazione è sotto gli occhi di tutti, rarefatta nell’epopea del “media event” ad uso e consumo quotidiano.

Da settimane, c’è sempre qualcosa da attendere. Una sorta di spirito primitivo sfuggente e non definito, un totem “liquido” da osservare con discreta venerazione. Un quid senza autenticazione. Che esiste, per forza. Lo si percepisce. Esattamente come il prurito nell’ora meridiana.

Basta stringere l’obiettivo sulla politica: settimane intere di discussioni sulle primarie del centrosinistra, sulla eterna lotta generazionale giocata sull’onda della rottamazione, risoltesi con l’esito previsto, senza colpi di scena da libro noir; e poi passare ore ad argomentare, logorati dai dubbi sul ritorno in campo di Silvio Berlusconi, per vedere deposta definitivamente ogni effettiva ansia di ricambio culturale. Un elogio del nulla nella sostanza o forse del gattopardismo italiano, che si ricrea, si nutre e prolifera, grazie alle ferventi discussioni esposte nei talk-show di maniera, che si arrotolano su se stessi, con capriole imbarazzanti di un’autoreferenzialità molesta.

L’attesa “messianica” si ripropone costantemente, con la generosa curiosità con cui si segue una soap opera, per sapere il più scontato dei finali. Passata l’onda d’urto mediatica sulla sesta vita politica del Cavaliere di Arcore, il nuovo “media event” occasionale è la decisione sul proprio futuro di Mario Monti, sul progetto di una candidatura ufficiale, sulla reazione dello spread. “Domande come questa mi perseguitano” direbbe Whalt Whitman. 

Ma c’è un altro campo, dove l’attesa escatologica del “meglio deve ancora venire” si professa in tutte le sue contraddizioni: l’Italia pallonara ha salutato domenica scorsa il ritorno di Antonio Conte sulla panchina della Juventus, con speciali ad hoc, inquadrature morbose, telecamere ad personam confezionate dal servizio pubblico e dalle reti private, per costruire il reality perfetto e chiarire che, in fondo, l’allenatore bianconero “è lo stesso”.

L’attesa dell’“eroe ferito” (illuminate in materia è un pezzo di Andrea Scanzi su Il Fatto) è sembrata in contraddizione con le questioni che hanno tenuto lontano dal rettangolo di gioco il tecnico, e, al di là degli oggettivi limiti dimostrati dalla giustizia sportiva (il Lecce ne sa qualcosa), esistono dei dati da cui non si può prescindere, da qualsiasi punto di vista si vogliano guardare i fatti.

Tra la celebrazione di un “martire” e l’esecuzione di un “mostro”, insomma, ci starebbe la sobrietà del “racconto giornalistico”, ossia la storia di un allenatore reduce da una squalifica e non da una riedizione de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Ma il “media event” si alimenta anche di questa macchina culturale, fatta di processi ed interpretazioni davanti agli schermi. E che, in genere, finisce per puntare il dito contro la “magistratocrazia”. A prescindere.

L’abbuffata pregiudiziale è servita, per merito spesso di quelle trasmissioni di pseudo intrattenimento, che dedicano intere serate ad interpretare la frase del Misseri di turno, lo sguardo, il look, per “trovare” gli elementi “utili” alla risoluzione del “caso”. Analoghi esempi si potrebbero proporre sulla gravidanza reale di Kate Middleton o di altri volti noti, studiati da una moviola personalizzata, in nome della medianicità ad ogni costo. Del resto, sul punto anche il Salento ne ha fatto le spese la settimana scorsa col “mordi e fuggi” delle lacrime di sangue, scaturite da una statua della Vergine a Martano.

E per restare in un contesto “sacrale”, il linguaggio del “media-event” si è sprecato nelle paginate, nelle interviste ai collaboratori vaticani e nelle considerazioni inerenti all’approdo su twitter del papa. La “svolta” epocale e l’epopea della “chiesa moderna” si sono raggrumate nello spasmodico count-down per il primo cinguettio pontificio, mentre la rete impazziva tra gli “osanna” di benvenuto e l’irriverenza dei divertenti hashtag diffusi nel corso della settimana.

Il tweet d’esordio, concesso durate l’udienza del mercoledì davanti a circa 4500 persone, per la cronaca, si è risolto nella “benedizione” di Benedetto. Un risvolto tautologico, che poco ha a che vedere con l’aspettativa di qualche speciale rivelazione, auspicata dal mondo 2.0. Ma, per i cultori dell’evento, ci si può consolare con il riscontro che Sua Santità faccia tendenza, visto il milione di followers racimolati nel giro di poche ore.

E ora tocca pure affrontare la lunga settimana dei Maya, tra il panico dei “militanti della fine del mondo” e gli scettici, col dito proiettato sulle tastiere il prossimo 22 dicembre, pronti a postare la propria imprescindibile verità: “L’avevo detto”. Cinque giorni ancora e sarà quel che sarà. Si faccia spazio al verbo, dunque. All’avverbio e al congiuntivo.

A proposito, nella loro genialità, Elio e le storie tese hanno già sfornato un brano sulla questione, con un verso illuminante anche in termini grammaticali: “Apocalisse, dimmi dimmi chi sei? Sei forse il congiuntivo del verbo apocalire?”. Nell’eloquente confusione generale, questa appare la notizia migliore. Almeno sarò una risata a seppellire l’attesa.

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