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Ami, fiocine e plastica insidie per le tartarughe: curati oltre 480 esemplari

Nel bilancio del programma AdrioNet sono 483 le tartarughe marine recuperate vive e curate. Caso emblematico quello di un esemplare con una fiocina conficcata nel cranio. Nello stomaco di una Caretta caretta anche un palloncino. Monitorati 16 nidi

CALIMERA - Il primo bilancio dell’attività di recupero e cura degli esemplari marini feriti o on difficoltà lascia intendere che la rotta intrapresa è quella giusta. I dati raccolti dalla Rete Adriatico-Ionica (AdrioNet) di coordinamento tra i Centri di recupero tartarughe marine, nata lo scorso anno attraverso un protocollo d’intesa teso a favorire un’intensa collaborazione volta a ottimizzare i risultati, dimostrano ampiamente che è stata un’ottima idea. A tale attività ha fornito il suo prezioso contributo anche il centro Crtm diretto da Piero Carlino del Museo di Storia naturale del Salento di Calimera.   

Nella rete del programma AdrioNet, che conta sei centri di recupero che operano lungo le dorsali dell’Adriatico e dello Ionio, sono state ben 682 le tartarughe marine attenzionate nel corso del 2020. Di queste 483 sono quelle recuperate vive e curate.

Oltre agli animali che è stato possibile curare e spesso salvare, gli esperti della rete AdrioNet sono intervenuti anche su 199 esemplari purtroppo ormai privi di vita: su tutte le carcasse sono stati effettuati rilievi biometrici (informazioni preziose per gli approfondimenti scientifici) e, quando possibile, sono stati predisposti esami necroscopici per la determinazione delle cause della morte.

Tra i 483 soggetti recuperati vivi (oltre 400 dei quali curati e già liberati in mare lo scorso anno) ben 381, pari al 79 per cento, presentavano segni inequivocabili di sfortunati contatti con le attività umane: pesca diretta o le cosiddette reti fantasma, residui abbandonati nei fondali, purtroppo sempre più frequenti nel mare. La stragrande maggioranza delle tartarughe che frequentano Ionio e Adriatico appartengono alla specie Caretta caretta: 681 individui contro una sola tartaruga verde (Chelonia mydas), curata e rilasciata in ottime condizioni.

Oltre alle tantissime tartarughe oggetto di bycatch (il termine inglese d’uso comune per indicare la cattura accidentale), tra cui decine di esemplari giovanissimi, una ventina di esse mostravano presenza di ami e talvolta anche lenze, rimossi tramite intervento chirurgico, mentre altre avevano ingerito della plastica (persino un palloncino con relativo filo, il che la dice lunga sui danni che un’abitudine apparentemente innocente come la liberazione di palloncini in occasione di matrimoni, feste e ricorrenze crea all’ambiente), o presentavano segni di collisione con natanti o con attrezzi da pesca.

Caso emblematico quello di una tartaruga, curata e liberata, che è stata trovata con una fiocina conficcata alla base del cranio. Difficile secondo gli esperti ipotizzare che possa essere accaduto per caso. AdrioNet nel corso del 2020 ha anche monitorato 16 nidi con centinaia di baby tartarughe nate e arrivate in mare con la sorveglianza costante dei volontari.

AdrioNet è attualmente composto da sei Centri di recupero tartarughe: il Centro studi cetacei “Luigi Cagnolaro” di Pescara, il Museo di storia naturale del Salento di Calimera, la Fondazione Cetacea, centro di Rimini/Riccione; l’Oasi Wwf di Policoro, l’Area marina protetta di Torre Guaceto e il Wwf di Molfetta. Ne fanno parte anche professionisti coinvolti, sul piano scientifico e operativo, nelle tematiche connesse al recupero delle tartarughe: attualmente queste figure rappresentano la Societas Herpetologica Italica, il Cnr-Irbim di Ancona, l’Istituto zooprofilattico di Teramo e le università di Bari, Pisa e Foggia.

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