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Terzapagina. Scenari europei dopo il voto: per l’Italia un’occasione storica

Nell’analisi di Ubaldo Villani Lubelli gli aspetti che troppo spesso sfuggono alla riflessione, ristretta com’è nell’ambito dei confini nazionali. Eppure l’Europa resta una risorsa quasi obbligata: nel 2050 nel G8 non ci sarà nemmeno la Germania

LECCE - “Se potessi ricominciare lo farei dalla cultura”, la pensava così Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea. A distanza di oltre mezzo secolo l’Europa è stata unita prevalentemente da una moneta e della cultura europea non ne parla quasi più nessuno. Il paradosso è che se la moneta è stato il grande fattore di unione, alla prima crisi economica ha finito per dividere i popoli europei come nelle più classiche delle guerre che hanno avuto luogo nel campo di battaglia del Vecchio Continente.

È in questa crisi economica, sociale e culturale che i popoli europei hanno votato domenica scorsa la seconda più grande assemblea parlamentare del mondo. Le elezioni europee del 22-25 maggio sono state una delle più grandi manifestazioni di democrazia: 390 milioni di elettori, 28 paesi, 25 lingue diverse, 5 candidati alla Presidenza della Commissione. Numeri impressionanti sui quali forse conviene riflettere ogniqualvolta si accusa l’Unione Europea di un deficit di democrazia.

Per le dimensioni il progetto europeo è destinato ad essere per definizione un processo continuo di integrazione politica e istituzionale. Come ha scritto Martin Schulz “l’Unione Europea è un progetto a lunga scadenza. Tutte le conquiste dell’Unione Europea sono state a lunga scadenza: la Comunità del carbone e dell’acciaio, la Comunità economica europea, l’adesione delle giovani democrazie, l’euro, l’allargamento a Est”. Lo sarà anche il lungo percorso iniziato domenica scorsa per la costruzione di un governo europeo.

Il nuovo Parlamento di Strasburgo è grande manifestazione di democrazia non solo per i 751 deputati da ventotto Paesi diversi che abbiamo eletto, ma anche perché è politicamente più rappresentativo del precedente. Hanno perso seggi i gruppi parlamentari principali (Partito popolare, Partito Socialista, Alde e Verdi), ma ne hanno guadagnati i minori, in particolare la Sinistra europea e l’estrema destra che per la prima volta avrà la possibilità di formare un gruppo parlamentare. Dalla tanto bistrattata Unione Europea viene una lezione di democrazia e rappresentanza. È difficile trovare nei singoli parlamenti nazionali una rappresentanza così varia delle diverse forze politiche realmente presenti nella società.

È un bene anche che ci siano i partiti che si pongono ai limiti dei principi costituzionali come quelli di Le Pen, Wilders, Salvini e il parlamentare della destra neonazista tedesca dell’Npd (Udo Voigt), da cui addirittura il Fronte Nazionale ha già preso le distanze. La loro presenza renderà più interessante il dibattito politico. Servirà, inoltre, da stimolo. Se vogliamo l’Europa, la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, l’abbattimento delle barriere, una moneta comune e i numerosi benefici di cui godiamo, dobbiamo essere pronti a batterci per difenderli. Perché la crisi dell’Europa di oggi è che abbiamo dato per scontati e acquisiti tutti i vantaggi dell’essere parte dell’Unione Europea, salvo poi rinfacciarle tutto ciò che di male esiste nella società.

Le elezioni europee erano anche un test per la Germania, paese egemone per definizione in Europa. Per dimensione demografica, forza economica e posizione geografica la Repubblica Federale Tedesca è destinata ad avere un ruolo predominante. Eppure la cancelliera Merkel, pur rimanendo saldamente in testa in patria e pur restando la Cdu/Csu il primo partito in Europa per numero di eurodeputati, può festeggiare solo a metà. L’estrema destra europea ha triplicato i voti, il suo alleato Hollande è ancora più debole di prima e in Germania potrebbe crescere e radicarsi per la prima volta un partito alla destra dell’Unione cristiano sociale e democratica: gli euroscettici di Alternative für Deutschland. Tuttavia, non sono previsti grandi cambiamenti in vista. La linea tedesca in Europa è sempre stata molto chiara: la generosa solidarietà tedesca (la Germania è il primo contribuente netto dell’Ue) è condizionato a una maggiore responsabilità. Questo approccio non cambierà a prescindere da chi governerà a Berlino.

Una novità potrebbe essere rappresentata dall’Italia di Matteo Renzi. Il risultato del Partito democratico rende il suo leader più forte in Europa e interlocutore privilegiato di Angela Merkel che l’ha già salutato come “El Matador”. L’effetto Renzi si farà sentire anche nelle istituzioni europee. L’intervista rilasciata a cinque grandi quotidiani europei segna la strada: “la Germania non è un avversario, ma un modello. L’obiettivo è cambiare l’Europa superando le politiche di austerità.” L’Italia oggi ha bisogno di comprendere e capire la Germania piuttosto che attaccarla. Alla vigilia del semestre di presidenza italiana della UE, l’Italia ritrova un ruolo da protagonista nei rapporti di forza europei. A dimostrazione di come il principale problema del nostro Paese sia stata l’incertezza politica.  L’euro e l’Unione Europea sono la soluzione dei nostri problemi, ma fino ad ora abbiamo perso tempo credendo fossero il nostro problema. Ora è il momento di sfruttare gli enormi benefici di essere protagonisti in Europa perché un governo stabile a Roma tutela al meglio gli interessi italiani a Bruxelles.

Davanti alle sfide economiche e geo-politiche globali del mondo moderno nessuna nazione europea può immaginare di svolgere, singolarmente, un ruolo importante nello scacchiere internazionale dal punto di vista economico e geo-politico. Gli europei erano appena il 7 per cento della popolazione mondiale nel 2010 e nel 2060 saranno appena il 5 per cento. Ed ancora: se il Pil europeo nel 2010 era il 25.8 per cento per cento di quello mondiale, nel 2050 sarà del 15 per cento. Nel 2050 nessuno dei Paesi europei sarà tra quelli del G8, neanche la Germania. E’ evidente che in una società in un cui stanno cambiando gli equilibri economici i singoli stati europei sono destinati a uscire perdenti. L’Unione Europea si trova davanti a una sfida che può vincere solo se resterà unita e se si darà un vero governo politico europeo. La grande occasione che l’Italia ha davanti a sé è di svolgere un ruolo di primo piano in questo processo. 

Assegnista di ricerca presso l’Università del Salento e giornalista free-lance

twitter@uvillani-Lubelli

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