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Cantiere fermo, i manifestanti non mollano. Ecco la voce dei No Tap

A bocce ferme parlano ora i rappresentanti del comitato, Verri e Maggiore, spiegando le ragioni della tenace opposizione al gasdotto con approdo a San Foca

MELENDUGNO – Ormai è il terzo giorno che nel cantiere Tap di San Foca le operazioni per l’espianto degli ulivi sono ferme. Da sabato pomeriggio, 1° aprile, quando il prefetto di Lecce ha chiesto lo stop dei lavori, in località San Basilio non si è visto più nessuno: camion, agenti in tenuta antisommossa, operai, chicchessia.

Al di là delle recinzioni, però, non c’è solo l’amara campagna trasformata in fango dalla pioggia battente. Ci sono i manifestanti, i cosiddetti No Tap, accampati nel presidio giorno e notte per controllare la situazione. Tra tende, striscioni, foto e i fornelli da campeggio molti volti sono nuovi: a dare una mano ai salentini sono arrivati ora, ufficialmente, i “colleghi” No Tav della Val di Susa che hanno combattuto una battaglia dai contorni simili.

Questa mattina, complice il freddo e le energie spese nelle manifestazioni dei giorni precedenti (il clou si è raggiunto domenica 2 aprile), erano in pochi. Una parte di irriducibili si è spostata nel centro di Lecce per un’azione di volantinaggio; gli altri, i guardiani del cantiere, aspettano che qualcuno arrivi a spostare gli arbusti incappucciati parati davanti a loro. Quando? Non è dato saperlo. Questo, di certo, è il tempo dell’attesa e della pianificazione delle contromosse.

La protesta, la mobilitazione – “sempre pacifica”, ci tiene a sottolineare Marco Santoro Verri, uno dei leader del Comitato No Tap – continuerà ad oltranza. Si capisce che nessuno è intenzionato a mollare la presa e dal presidio allestito in località San Basilio la chiamata a raccolta dei cittadini è incessante e quotidiana. Anche il tamtam sui social network è incalzante, come la pioggia.

Oggi però c’è tempo per ricapitolare la situazione e riavvolgere il nastro. Con Verri torniamo al punto di partenza: alle ragioni di un’opposizione così tenace al progetto del metanodotto. Proprio ora che le voci si stanno accavallando creando un frastuono incomprensibile ai più. In premessa diciamo che Verri e i suoi amici sono impegnati sul caso Trans Adriatic Pipeline da 6 anni: parlano come “luminari”, continuano ad avvalersi del parere di ingegneri ed esperti del settore. Sono le colonne portanti di un movimento d’opinione che vuole poggiare i piedi sui documenti. Le famigerate carte. Ultimamente, dopo l’inchiesta pubblicata dal settimanale l’Espresso e quella della trasmissione televisiva Report, fanno riferimento anche ad alcuni analisi giornalistiche.

Ci tengono a non passare per sprovveduti. “Forse arrivando in Salento pensavano di trovare una popolazione di indigeni con l’anello al naso: mi spiace, non è così”, puntualizza lui. In genere è una buona premessa per cominciare un’intervista.

Si è costruito, negli anni, un robusto fronte d’opposizione a questo progetto: qual è il motivo principale?

“Nel giro di sei mesi, da quando abbiamo iniziato a studiare il caso, abbiamo capito che si trattava di una speculazione finanziaria, quindi era inutile fare arrivare il gasdotto qui come altrove. In questo momento storico non esiste una vera esigenza di gas, tant’è vero che in Italia i rigassificatori sono fermi. In più abbiamo scoperto che non ci sarà un vero distacco dal gas russo e che ci stiamo legando ad un regime dittatoriale, quello dell’Azerbaijan, che dice di voler portare benessere sul territorio quando il vero benessere sarà per i soliti noti”.

Il cambio di destinazione per l’approdo può essere una soluzione?

“Si tratta di una posizione che non condividiamo anche perché, da sempre, è stata San Foca la località scelta per l’approdo: questa non è una zona industrializzata ed i vincoli sono soltanto di tipo ambientale”.

Adesso il problema principale sembra essere l’espianto, e successivo reimpianto, di 211 ulivi. È davvero così?

“Tap sta procedendo alla fase zero forte delle autorizzazioni ministeriali. Peccato, però, che l’autorizzazione si basi su un progetto precedente: nel febbraio 2017 Tap ha presentato un nuovo progetto per il microtunnel che ancora è in fase di assoggettabilità a Via (valutazione d’impatto ambientale). I tavoli di studio sono in itinere e non ci sembra il caso di sacrificare, nel frattempo, gli ulivi. Il presidio è stato messo in piedi proprio al fine di rallentare i lavori e fermare Tap: non possiamo accettare di subire un’opera imposta, senza che sia mai avvenuta una vera consultazione popolare”.

È corretto dipingere quest’opposizione come violenta?

“Diversamente da ciò che si è detto, quindi non si è verificato alcun tipo di violenza, né si sono viste sassaiole: tutte le manifestazioni ed i tentativi di resistenza sono stati assolutamente pacifici, non si capisce quindi il perché di un tale dispiegamento di forze dell’ordine. Semmai la violenza vi è stata quando sono stati circondati i sindaci, la violenza è nell’uso dei manganelli: ma le persone possono vedere attraverso i nostri filmati e le informazioni che stiamo diffondendo come stanno andando le cose. Queste azioni si stanno ritorcendo contro di loro e forse anche il prefetto se n’è accorto perché ha stabilito delle pause e delle tregue. Chi ha bloccato i lavori presso masseria del Capitano, nella giornata di sabato, non siamo stati noi ma intere famiglie di Melendugno e paesi limitrofi che si sono mobilitate e frapposte tra i mezzi pesanti e la polizia”.

Il territorio potrebbe comunque ottenere un vantaggio economico dal progetto, anche sotto forma di compensazioni economiche?

A questa domanda ha risposto, telefonicamente, Gianluca Maggiore, noto esponente del Comitato No Tap: “Tap potrebbe ottenere un finanziamento europeo di 2 miliardi di euro ma intanto sul territorio non sappiamo quanto verrà lasciato sotto forma di compensazione. Di più, dovrebbe esistere una Hga (Host government agreement) un contratto di garanzia stipulato tra lo Stato e chi propone il progetto, ma per quest’opera considerata strategica non abbiamo trovato il contratto di riferimento: questa questione è stata oggetto di interrogazioni parlamentari e ad oggi non sappiamo quali siano le garanzie di compensazioni per gli enti locali”.

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