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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

Che cosa ci direbbe oggi Enrico Berlinguer, a 100 anni dalla sua nascita

Un’intervista a Mario Toma, ex parlamentare del Pci e presidente dell’Associazione “Enrico Berlinguer” di Lecce, in occasione del centenario della nascita del politico sardo, celebrato il 25 maggio

LECCE - La replica del passato si innesta nel dibattito di questi giorni in tutta Italia. Da nord a sud si susseguono iniziative e incontri per celebrare quella figura che incarna “la tensione morale, il rispetto della Costituzione”, per usare le parole con cui lo ha ricordato Sergio Mattarella. L’occasione del centenario della nascita del deputato ed europarlamentare Enrico Berlinguer - dal 1972 al 1984  (anno della sua morte) segretario generale del Partito comunista italiano - sembra voler imbastire nuovi confronti fra le numerose intercapedini della Sinistra.

Ne abbiamo parlato, in un'intervista, con Mario Toma, ex parlamentare salentino, iscritto nel 1970 nel Pci ed eletto alla Camera dei Deputati nel 1983. Attualmente è il presidente dell’associazione con sede a Lecce intitolata a Enrico Berlinguer

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Non soltanto il centenario della nascita di Enrico Berlinguer, ma sono anche i giorni di un altro “compleanno”: quello del diritto all’aborto sancito dalla Legge 194 del 1978. Le lotte portate avanti dai movimenti delle donne costituiscono il sismografo dello stato di salute dei diritti civili. Che cosa direbbe oggi a proposito, se fosse tra noi, Berlinguer?

“Berlinguer fu un uomo del suo tempo, il che rende certamente arduo immaginare cosa direbbe o cosa farebbe oggi anche alla luce dei mutati contesti sociali e politici. Nella sua azione politica, la questione femminile fu senza dubbio uno dei punti di maggiore lungimiranza. Insieme a Nilde Jotti, il protagonismo delle donne del Pci, sostenuto con convinzione dal segretario Berlinguer, contribuì senza dubbio alle conquiste in tema di diritti civili. La legge sul divorzio e la 194, difese con forza anche nei due referendum abrogativi del 1974 e del 1981, rappresentano probabilmente i due punti più alti di quella stagione. Oggi, di fronte agli attacchi delle destre per annullare conquiste, a dire il vero ancora parziali, dei movimenti femminili, Berlinguer sarebbe senza alcuna esitazione nello stesso posto: accanto alle donne ed ai loro movimenti per difendere ed allargare i loro diritti”.

E quale sarebbe invece la posizione sul conflitto in corso in Ucraina? Celebre il discorso che Berlinguer pronunciò nel Parlamento europeo contro l’intervento militare sovietico in Afghanistan nel 1980: “Bisogna invertire la tendenza attuale, interrompere subito la spirale degli atti di forza che rispondono ad altri atti di forza, delle azioni e ritorsioni. Bisogna riaprire la via del dialogo e del negoziato”…

“La politica internazionale di Berlinguer, intensificata negli ultimi anni e mesi della sua vita, fu sempre caratterizzata da una forte tensione verso la pace, verso la ricerca della distensione e del superamento convinto della contrapposizione tra blocchi tipico della Guerra Fredda. Berlinguer individua nella guerra e nei residui di colonialismo il motivo del mancato sviluppo delle aree del Terzo e del Quarto Mondo. Nel 1980, aveva proposto la Carta della pace e dello sviluppo per una nuova politica dei paesi più industrializzati verso queste aree, ponendo le basi per la successiva riflessione sul governo mondiale dell’economia. Egli fu in quegli anni un costruttore di pace instancabile. Partecipò alla marcia della Pace, Perugia-Assisi, dialogò con tutti i movimenti cattolici e gli uomini della Chiesa cattolica che si battevano per lo stesso obiettivo. Queste erano le premesse su cui sviluppò anche la sua politica di superamento dei blocchi contrapposti e di distacco dall’Urss. Oggi sarebbe lì: a ricercare instancabilmente la via del dialogo, a ricercare le condizioni per una pace duratura attraverso un recuperato ruolo dell’Europa e degli organismi sovranazionali, al fianco dei popoli che pagano sulla propria pelle le conseguenze di scellerate mire imperialiste”.

Si è ripreso a parlare, a seguito delle sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, di politiche di austerità e di sacrifici. Anche Berlinguer ne aveva parlato. Ci sono differenze o analogie tra i due periodi? E sulla concezione dell’Austerità?

“La proposta di una fase politica caratterizzata dall’austerità in campo economico fu una delle idee più innovative di Enrico Berlinguer. Eppure, al tempo, nessun termine fu tanto osteggiato, maltrattato, deformato, persino deriso come questo. Fu subito interpretato come una richiesta di ulteriori sacrifici a senso unico: contro le classi lavoratrici. L’austerità per Berlinguer doveva invece caratterizzarsi per politiche severe ma innovatrici, affermando una necessaria lotta agli sprechi, agli sperperi, ai privilegi ed alle posizioni di rendita. Doveva accompagnarsi ad una modifica profonda del modo di vivere, di produrre, di consumare. Con una riforma fiscale che ripartisse equamente ed inflessibilmente gli sforzi tra tutti. Nella proposta di sacrifici ed austerità dei nostri tempi, non mi sembra che vi sia alcunché di innovativo né tantomeno di radicale rispetto alle ancora più necessaria urgenza di cambiamento del modello di sviluppo e di ripensamento profondo delle regole di funzionamento dell’intero sistema”. 

“I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia”. Così rispondeva, nell’estate del 1981 a Eugenio Scalfari sulle pagine de La Repubblica. “Giustizia, efficienza, ordine, e una moralità nuova” alla base del suo concetto di austerità. Un oceano di buone intenzioni irrimediabilmente inquinato…

“I comunisti italiani hanno dato un contributo fondamentale alla scrittura della nostra Carta Costituzionale. Il Pci guidato da Berlinguer si fece quindi custode convinto dei valori, dei principi e degli assetti istituzionali in essa definiti, riconoscendo quindi come i Partiti siano un elemento fondamentale della democrazia, in assenza dei quali tanto il Parlamento quanto il potere esecutivo funzionano male. Non può tacere davanti alla degenerazione dei partiti diventati macchine di potere e di clientela, incapaci di interpretare i bisogni della società reale e di fornire risposte adeguate. Con il tema della Questione morale, per cui molti lo ricordano ed ancora di più lo rimpiangono, Berlinguer lanciò un grido disperato. Il grido di un uomo rimasto solo a credere ancora possibile un cambiamento della politica e dei partiti. I due uomini con cui aveva interloquito sino a quel momento non ci sono più. Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. Ugo La Malfa, morto. Il Psi gli aveva risposto con i fischi che lo accolsero al congresso socialista di Verona e la Dc con il “Preambolo” che, di fatto, chiudeva al dialogo e ad ogni collaborazione con il Pci. Avevano scelto la strada che li avrebbe portati verso “Mani Pulite” e la fine della politica e delle sue forme organizzate (i partiti).

Da Berlinguer al Pd: quante sono le anime della Sinistra? Quante le schegge scaturite da questa atomizzazione?

“La mia convinzione è che non esiste alcuna linea di continuità tra il Pci di Berlinguer ed il Pd nelle sue varie segreterie. Sono due partiti nettamente diversi, sebbene il Pd contenga una parte di militanti e, soprattutto, dirigenti ex Pci delle generazioni post-berlingueriane. Non perché non sia valida la suggestione di considerare, vista la mancanza di un soggetto politico a sinistra, il Pd erede di quella tradizione. Ma per me rimane solo una suggestione. Io la penso come Berlinguer che, a sua volta, aveva ereditato da Gramsci e Togliatti la convinzione che i cattolici dovevano avere un ruolo importante nella costruzione della democrazia repubblicana e del rinnovamento del Paese. Un ruolo però diverso da quello di cui era portatore il Pci. La collaborazione era necessaria ma con partiti autonomi l’uno dall’altro. Con punti di contatto valoriali anche forti, certamente, a cominciare dalla convinta necessità di dover basare le proprie politiche sui bisogni di cui sono portatrici le classi meno abbienti, gli umili e gli sfruttati della Terra.

Il Pd nasce su altre basi, per quanto si tenti di sfruttare l’appeal berlingueriano per legittimare un dialogo tra anime diverse ed un progetto politico ambiguo nei suoi valori e nei soggetti che intende rappresentare. La frammentazione a Sinistra, le sue diverse anime ci sono sempre state. Nascevano su posizioni ideologiche e comportamenti ed interessi coerenti. Solo che la grande forza del Pci spesso rendeva meno visibile questo processo di frantumazione ed atomizzazione. Oggi, mancando un partito organizzato, non avendo il Pd un blocco sociale di riferimento, come lo aveva ben chiaro il Pci, non avendo politiche sociali ed economiche verso il mondo operaio e del lavoro dipendente, questa frantumazione a sinistra è più evidente. E dolorosa. Ne soffre la stessa politica nel suo complesso. Perché a questa manca proprio un soggetto organizzato, strutturato, vicino alla gente e radicato nei territori”.

Il tema del lavoro e quello della giustizia sociale dovrebbero costituire il midollo osseo della Sinistra. Oggigiorno appaiono non soltanto residuali, ma trattati con omertosa, ponziopilatesca timidezza.  Eppure precarietà e lavoro “flessibile” sono figli proprio di una Sinistra che si è fatta neoliberista, asservita a logiche capitalistiche e industriali.  Storici gli incontri tra il segretario del Partito Comunista e gli operai di Alfa Sud di Pomigliano d’Arco e di numerose altre fabbriche italiane. Oggi, tuttavia, i “metalmeccanici” sono anche quell’esercito di 30enni e 40enni, laureati e con esperienza all’estero nel curriculum. Master e corsi di perfezionamento per lavorare nei call-center, come rider in pizzeria, come insegnanti precari, giornalisti, archeologi, registi cinematografici. Tutti profili altamente “performanti”, ma per nulla remunerati. Come si è finiti fin qui? Che cosa ci aspetterà nella post-globalizzazione?

“Proseguendo su questo ragionamento si può dare la risposta alla sua domanda. Il passaggio dal blocco operaio e del lavoro dipendente con i suoi diritti, al mondo dei senza diritti, i rider, i precari, il lavoro flessibile nelle sue mille articolazioni. Le mutazioni avvenute nel mondo del lavoro e nell’organizzazione globale dell’economia sono state tante e profonde. E sono dovute a più cause. La deindustrializzazione, la delocalizzazione spinta verso i paesi dove il lavoro costava meno, la globalizzazione. Tutti fenomeni che hanno scaricato i propri effetti sugli ultimi, allargando le maglie di quell’esercito di riserva su cui si sono ferocemente innestate le politiche neoliberiste di attacco ai diritti ed alle conquiste ottenute dal mondo del lavoro dipendente. L’affascinazione che hanno subito, su scala planetaria ed anche nel nostro paese, molti leader espressione della Sinistra istituzionale ha contribuito all’indebolimento ed alla progressiva scomparsa di un soggetto politico che fosse di parte, dalla parte del mondo del lavoro. Alcuni teorici dell’equidistanza tra Lavoro e Capitale hanno lasciato al solo Sindacato il compito di farsi carico delle conseguenze dei fenomeni sopra accennati, rimettendo in discussione un altro dei capisaldi della politica di Enrico Berlinguer: la ricerca costante di un’alternativa al capitalismo e la lotta contro ogni forma di sopraffazione e di sfruttamento, a cominciare da quella dell’uomo sull’uomo. Non meraviglia che proprio dal Partito di coloro che si autodefiniscono eredi della tradizione del Pci siano arrivati i colpi più duri alla condizione del lavoro in Italia”.

Il lungometraggio “Quando c’era Berlinguer”, a firma qualche anno addietro di Walter Veltroni, ci restituisce una buona fetta di liceali romani completamente all’oscuro e ignari della figura del segretario comunista.  Come descriverebbe Berlinguer ai ragazzi di oggi?

Berlinguer è stato un uomo coerente e perbene. Una figura nobile, con una rettitudine personale, una serietà politica ed intellettuale che nessuno può mettere in discussione. Un uomo che diceva quello che pensava e faceva quello che diceva. Ma soprattutto era un uomo che credeva nella Politica come strumento di liberazione dell’umanità, di cambiamento ed emancipazione. I giovani di oggi, spesso additati senza colpa come bamboccioni, sono attraversati da forti spinte di impegno e ribellione che non riescono a trovare adeguata risposta nelle forme organizzate della politica. Fare conoscere loro la figura di Enrico Berlinguer non è un mero esercizio di nostalgia: è invece un modo concreto per trasmettere l’idea che un altro modo di fare Politica è stato e può essere ancora possibile. L’Associazione Enrico Berlinguer di Lecce, che presiedo, ha questo tra i suoi obiettivi principali: avvicinare le giovani generazioni attraverso la conoscenza di un grande italiano”.

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