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Il filo della memoria tra le generazioni: il 25 aprile in piazza dei Partigiani

Nel 71esimo anniversario della Liberazione consegna delle medaglie per partigiani, ex internati nei lager, soldati dell'esercito regolare

LECCE – Lucidi gli occhi, lucidi anche i ricordi nonostante sette decadi siano trascorse dalla vittoria del movimento della Resistenza e degli Alleati sulle truppe di occupazione naziste e sul governo repubblichino di Salò.

Nel 71esimo anniversario della Liberazione, quando grazie soprattutto alle ricerche della storiografia locale appare sempre più chiaro il peso del contributo del Mezzogiorno alla sconfitta della dittatura, sono state consegnate nove medaglie nell’ambito di un’iniziativa del ministero della Difesa in omaggio ai partigiani, agli ex internati nei campi di concentramento e ai combattenti nelle truppe regolari dell’esercito italiano.

In cinque casi su nove - quelli di Luigi Esposito, Graziano Fracasso, Felice Mighali, Giovanni Spedicato (impossibilitato per ragioni di salute), Cosimo Cucurachi - sono i figli a ritirare la medaglia. Segno dello scorrere inesorabile del tempo che seppellisce gli esseri umani (nell'aprile dello scorso anno è deceduto Umberto Leo, ultimo partigiano leccese) ma anche la memoria, soprattutto quando essa non viene adeguatamente custodita e difesa dalle strumentalizzazioni di chi, più o meno velatamente, si sente orfano di un’ideologia che tuttavia ha avuto la fortuna di non conoscere nelle sue quotidiane vessazioni e ambizioni di onnipotenza. "Mio padre avrebbe detto questo oggi: viva la libertà", ammonisce Mirella Esposito, avvicinandosi per pochi secondi al microfono dopo aver ricevuto la medaglia

Albino Candido, Giuseppe Minerva, Angelo Mirto, Michele Nicolaci sono ancora vivi e nei loro occhi brilla la scintilla della dignità nazionale, che, contrariamente a quanto sostenne  Ernesto Galli della Loggia in un pamphlet di discreto successo – La morte della patria. L’idea di crisi di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica (Laterza, 1996) –, trovò il germoglio della nascita proprio nel giorno dell’armistizio, l’8 settembre del 1943 al quale seguì quella che Claudio Pavone ha definito anche, e non solo, una guerra civile (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza - Bollati Boringhieri, 1991), dolorosa e necessaria.

Commossi e anche un poco intimoriti dalla folla, hanno ritirato la medaglia accompagnati dai rappresentanti istituzionali, dalle autorità giudiziarie (il procuratore generale presso la Corte d’Appello, Antonio Maruccia; il procuratore della Repubblica, Cataldo Motta; il presidente della Corte d’Appello, Marcello Dell’Anna) e dai vertici delle forze armate e di polizia (il comandante della Scuola di cavalleria, generale Fulvio Poli; il comandante provinciale dei carabinieri, Nicodemo Macrì; il questore, Pierluigi D’Angelo; il comandante provinciale della guardia di finanza, Bruno Salsano; il comandante della capitaneria di porto, capitano di fregata Attilio Maria Daconto). Davanti a loro i giovani della Consulta provinciale degli studenti, del Consiglio comunale dei ragazzi, di un gruppo di alunni delle scuole del primo ciclo che hanno partecipato attivamente con proprio contributi durante la serie di interventi, aperti dal prefetto di Lecce, Claudio Palomba e da Piero Manni a nome dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia.

Presenti il sindaco, Paolo Perrone con gli assessori Attilio Monosi e Gaetano Messuti, i deputati Salvatore Capone, Federico Massa, Rocco Palese e Roberto Marti, i senatori Francesco Bruni e Maurizio Buccarella, l’assessore regionale Loredana Capone, il presidente della Provincia, Antonio Gabellone e il vice ministro allo Sviluppo Economico, Teresa Bellanova.

Genitori, figli e nipoti: l'Italia della Repubblica

“A noi il dovere di dare senso ai valori per cui donne e uomini di allora si sono battuti – ha dichiarato l’esponente del governo -. Il privilegio di essere liberi, di vivere in una Italia democratica significa continuare a battersi per le libertà di tutti, ricordarsi degli ultimi, dare cittadinanza a tutte le etnie, le culture, costruire un Paese senza pregiudizi, con condizioni di lavoro dignitose. E’ opportuna coincidenza che proprio in questi giorni il Parlamento abbia deciso per la tutela della casa di Antonio Gramsci a Ghilarza. Se c’è una cosa della quale stupirsi è che questa decisione sia arrivata solo nel 2016. Prendere il testimone significa altresì fare di questo moto di popolo memoria condivisa e incontestata. Dichiarare l’antifascismo un valore fondante e costituente della nostra repubblica, se ancora ce ne fosse bisogno. Il fascismo è stata un’onta nella storia del Paese – disse in un discorso ai partigiani Norberto Bobbio -. Di conseguenza l’equidistanza tra fascismo e antifascismo è abominevole”.

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