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Gasdotto Tap, via libera definitivo dal Consiglio dei ministri: l'approdo resta San Foca

La Regione Puglia ha ribadito il suo parere contrario, ma il governo ha tirato dritto: si chiude dunque la lunga fase legata alle autorizzazioni, durante la quale l'amministrazione di Melendugno e il Comitato No Tap si sono battuti per scongiurare l'arrivo dell'infrastruttura

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al progetto di gasdotto presentato da Tap, compreso l'approdo nella marina di San Foca. La Regione Puglia ha ribadito, anche in questa ultima sede, il suo diniego ma il parere, per legge, non è vincolante.

Dal punto di vista autorizzativo, dunque, il lungo iter si è concluso e del resto la decisione di oggi non desta meraviglia considerando le dichiarazioni fatte prima da Enrico Letta quando era capo del governo e poi dal suo successore Matteo Renzi e da autorevoli esponenti dell'esecutivo: per l'Italia e per l'Europa l'infrastruttura energetica è prioritaria per diversificare le fonti di approvvigionamento.

L'amministrazione di Melendugno, guidata dal sindaco Marco Potì, è sempre stata in prima linea nell'opposizione al gasdotto, sostenendo insieme al Comitato No Tap e in ogni sede, comprese quelle giurisdizionali, le ragioni della contrarietà all'opera. Anche nella serie di incontri che si sono tenuti nei primi mesi nell'anno presso la Presidenza del Cosniglio, nel tentativo di addivenire ad una soluzione condivisa, trovando cioè un punto di approdo alternativo alla marina insignita di tutti i principali riconoscimenti sulla qualità del suo mare e del litorale. 

Ora si va verso la fase del cantiere e sarà importante aprire una nuova fase di dialogo in cui ci sarà bisogno della massima saggezza e concertazione da parte del mondo politico perché di certo il Salento, già straziato dalla vicenda, complessa e piena di incognite, legata al disseccamento rapido dell'ulivo, non può permettersi la militarizzazione del territorio per aprire cantieri o portare a termine eradicazioni. Non la meritano innanzitutto i suoi abitanti che, almeno nell'ultimo decennio, dopo il fallimento di gran parte dei presidi industriali spuntati a macchia d'olio negli anni Settanta e Ottanto, hanno imparato a vedere nei propri simboli identitari anche una leva per uno sviluppo sostenibile.

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