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Pd, Sergio Blasi non ci sta: "Primarie tradite". Si dimette, ma poi rientra

Il numero uno del partito pugliese si "riscopre" difensore delle consultazioni dal basso contro l'orientamento della direzione nazionale di proporre tra i candidati Scalfarotto e Marinaro: "Erano stati scelti Braj e Petrocelli"

LECCE – Sergio Blasi si dimette, ma solo per qualche ora, da segretario regionale del Partito Democratico. L’ex sindaco di Melpignano ha annunciato la propria decisione in una nota in cui ha espresso il pieno dissenso rispetto al gruppo dirigente nazionale per “aver tradito – si legge - lo spirito delle primarie e invaso le liste pugliesi di immigrati dal nord”. Una scelta “irrevocabile” - ma poi revocata - che apre una crepa nel partito pugliese, dopo il successo delle consultazioni dal basso di questo ultimo mese e mezzo.

Non è piaciuto, infatti, l’orientamento della specifica commissione di inserire nelle liste (proposte da Enrico Letta, Dario Franceschini, Maurizio Mungivacca, Nuco Stumpo e Vasco Errani), alcuni elementi, provenienti dalle “quote nazionali”, che si aggiungono ai candidati usciti dalle primarie: i “nomi” che hanno fatto storcere il naso a Blasi sono quelli di Ivan Scalfarotto e Francesca Marinaro, che, secondo le indicazioni romane, dovrebbero sostituire Massimo Braj e Corrado Petrocelli (rettore dell'Università di Bari).

Imposizioni dall’alto” su cui si è fondato il fulmineo passo indietro di Blasi, che, dopo un faccia a faccia con il segretario nazionale, Pierluigi Bersani, è tornato sulle sue decisioni.

Il retroscena.

Tuttavia, sulla decisione di Blasi, secondo i ben informati, avrebbero influito anche i malumori pre-primarie: l’ambizione di candidarsi al Parlamento c’era tutta per il numero uno del Pd pugliese, tentato dal listino, ma portato dalle regole di partito a passare dalla consultazione dal basso. La contemporanea candidatura del segretario provinciale, Salvatore Capone, però, avrebbe bloccato lo stesso Blasi, che, a malincuore, per non pescare nello stesso elettorato salentino, ha accettato di tirarsi fuori, prima di segnare l'odierna e momentanea rottura, in dissenso con i nomi “calati” dall’alto.

Difensore delle primarie?

Le dimissioni di Blasi in difesa dello spirito delle primarie, “tradito” dai vertici romani, però, appaiono in contraddizione con il recente passato politico del segretario. Sono lontani i tempi, infatti, in cui, nel 2009, l’allora sindaco di Melpignano, si spendeva con convinzione per la scelta di un candidato alla Provincia di Lecce, attraverso il ricorso ai gazebo e subendo con rassegnazione la scelta dall’alto di Loredana Capone (che causò lo strappo e l’addio al partito di Lorenzo Ria).

Da quando, nell’ottobre successivo, Blasi ha assunto la direzione del Pd pugliese, molto è cambiato. Da uno degli uomini più vicini politicamente nel Salento a Nichi Vendola, Sergio Blasi si è gradualmente allontanato dal governatore, diventando sempre più espressione d’apparato e delle “imposizioni dall’alto”: prima assecondando la rincorsa all’Udc, per “sfuggire” alle primarie di coalizione per le regionali, poi appoggiando una candidatura piovuta dai vertici nazionali come quella di Francesco Boccia (peraltro uscita pesantemente sconfitta nel confronto a due col presidente Vendola).

Con quest’ultimo, il parziale riavvicinamento in campagna elettorale con la proposta del cosiddetto ticketVendola-Blasi” è naufragato nella composizione della giunta. Poi, dal piano sanitario all’appoggio del Pd al governo Monti, le distanze con il governatore si sono acuite, così come sono probabilmente variati a favore del Pd (con SeL in discesa) i valori specifici delle rappresentanze in Puglia.

Blasi ha caldeggiato nel suo triennio da segretario gli accordi richiesti dal direttivo nazionale coi centristi: la riprova sono le alleanze in diversi centri pugliesi con l’Udc alle amministrative. L’ultima “svolta” del segretario dimissionario è stata quella, durante la presentazione leccese del libro di Matteo Orfini, quando si disse pronto a lasciare il Pd, se alle primarie l’avesse spuntata Matteo Renzi, etichettato come espressione della “deriva berlusconiana” del partito e non ( come probabilmente appare) naturale evoluzione di quella fusione fredda del “ma anche” di veltroniana memoria.

Con una incoerenza di fondo: come contestare oggi il mancato rispetto della logica delle primarie per i parlamentari, se a maggior ragione si sarebbe messa in discussione l’eventuale indicazione di un leader mal digerito? Le dimissioni lampo di Blasi, pertanto, hanno avuto il merito di portare a galla un problema serio, quello delle contraddizioni reali delle “parlamentarie” del Pd, che ripropongono parzialmente nodi irrisolti, come candidature “sistemate” e “sistemizzate”. Sorprende che nessuno abbia sollevato obiezioni alle candidature discutibili di Rosy Bindi in Calabria e di Anna Finocchiaro a Taranto. Si è anzi precisato che le parlamentarie, vista l’urgenza dettata dal “porcellum”, pur con difetti palesi, non potessero essere affrontate in maniera diversa.

Qualche dubbio legittimo, pertanto, sul ruolo di Blasi come “difensore strenuo” del modello primarie resta. Soprattutto se è un ruolo che si è interpretato a corrente alternata.

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