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"Il diritto all'affettività merita un'attenzione speciale": la giudice De Pretis alle detenute

Membro della Corte Costituzionale, nel carcere di Lecce ha spiegato i valori in relazione allo stato di detenzione e raccolto le richieste delle donne

LECCE - “Un conto è leggere le vostre storie, un conto è sentirvele raccontare, guardandovi negli occhi”: così Daria De Pretis, giudice della Corte Costituzionale, ha salutato e ringraziato le detenute del penitenziario di Borgo San Nicola che hanno dialogato con lei.

L’incontro si è tenuto questa mattina, nel teatro della Casa Circondariale di Lecce, nell’ambito del progetto “Viaggio nelle scuole” che ha fatto tappa nel capoluogo. L’obiettivo? Aprire l’istituzione alle istanze della società civile, riportando la Costituzione e i suoi valori al centro di tutto.  Il carcere non è stato un luogo scelto a caso, ma un’occasione per testimoniare che la “cittadinanza costituzionale” non conosce muri perché la Costituzione “appartiene a tutti”.

Il giudice De Pretis ha tenuto una lezione incardinata sul frammento dell’articolo 3: “Senza distinzione di…”. E dopo l’incontro e la conversazione con le detenute, ha visitato gli spazi detentivi.

“Parto dall’articolo 3 che dà sostanza all’uguaglianza tra tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali – ha chiosato in apertura -. La prima distinzione, quella tra uomini e donne, è forse una delle più importanti perché nel 1946 le donne votarono per la prima volta per l’assemblea costituente e 21 donne parteciparono attivamente alla stesura della Carta”.

“La Costituzione nasce da quella voglia di rinascita che accomunava tutti al termine della seconda guerra mondiale. La Costituzione è una legge superiore e prevale sulla legislazione ordinaria, ma è anche un progetto di cambiamento che guarda al futuro, fondato sull’esigenza di superare gli errori e gli orrori del passato, di rimettere ordine nel vivere civile abolendo le diseguaglianze”, ha aggiunto la giurista.

De Pretis si è poi rivolta alle detenute che rappresentano mediamente una percentuale molto bassa della popolazione carceraria (appena il 4,3 percento) e sono portatrici di esigenze specifiche, nate nel contesto famigliare e spesso legate a doppio filo alla cura dei figli.

Un tema complesso, non c’è che dire. Tema in cui i giudici si devono barcamenare con fatica, cercando di tenere insieme il diritto alla sicurezza sociale e i diritti delle singole persone. “Valutando caso per caso ed evitando gli automatismi nell’applicazione delle regole”, ha puntualizzato il giudice. “Dobbiamo ricordarci sempre che in carcere entra la persona e il reato rimane fuori – ha aggiunto -; la persona con la sua dignità, proiettata nel futuro, con il suo desiderio di cambiare e la responsabilità di ciò che ha commesso che si porta dietro”.

La giudice della Corte Costituzionale, che attualmente conta solo 3 donne su 15 membri complessivi, ha poi risposto alle domande formulate dalle detenute presenti. Entrando nel merito della questione, laddove possibile, e ricordando le diverse pronunce della Corte su vari temi. Le donne dell’istituto penitenziario hanno chiesto di migliorare le condizioni degli spazi detentivi, una maggiore attenzione alle condizioni di salute in tema di prevenzione, una maggiore attenzione alle condizioni di povertà.

Nel corso della discussione sono emersi i problemi particolari della diversità di condizione per le detenute straniere, che hanno difficoltà nel contattare le famiglie d’origine, e l’esigenza, forse l’aspirazione, di ridefinire tempi e modi per i colloqui con i figli minori, specie nel caso di condizioni di disabilità. De Petris ha risposto ricordando l’importanza del percorso di rieducazione e reinserimento sociale e lavorativo, pur nei limiti legati al reato commesso ed al contesto in cui è inserito, come nel caso dei reati di mafia.

Ha sostenuto ed incoraggiato, infine un’evoluzione complessiva del sistema carcerario, in una direzione che tenga dentro il diritto all'affettività ed alla sessualità e che limiti le ricadute negative sulle persone care che in qualche modo, per forza di cose e di riflesso, subiscono le conseguenze dello stato di detenzione.

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