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I predicatori dell’intolleranza non si fermano nemmeno davanti ai bimbi

Il conferimento solo simbolico della cittadinanza ai bimbi nati a Lecce da genitori stranieri diventa occasione per testare il razzismo. I social come cartina di tornasole

LECCE – Tanto il livore a sfondo razzista che trasudavano che è stato necessario rimuovere alcuni commenti da alcune pagine social, compresa quella di questa testata, a margine del conferimento della cittadinanza, a titolo simbolico, ai bambini nati in Italia da genitori stranieri da parte del sindaco di Lecce, Carlo Salvemini. Non è la prima volta che si ricorre alla "censura": è anzi frequente a corredo di articoli di cronaca che chiamano in causa migranti, ma anche cittadini europei dei paesi dell'Est, autori o presunti responsabili di reati.

Si tratta di una iniziativa che ha già qualche precedente in Italia e che è stata voluta per ribadire l’importanza di un percorso che porti all’approvazione dello ius soli (per il quale è cittadino di un paese colui che in quel paese nasce, indipendentemente dall’origine dei genitori), ancora negato da una classe politica titubante, mediocre e opportunista che fiuta il vento e cavalca il malessere viscerale di cittadini che vivono di paure e spesso di fake news, come la storia dei 35 euro al giorno e degli alberghi a cinque stelle.

L’amministrazione del capoluogo ha scelto la Giornata dell’Unità, dell’Inno, della Bandiera e della Costituzione per sottolineare l’importanza del riconoscimento di un diritto fondamentale a chi, da quando è nato, gioca, studia e cresce con i figli di italiani. I bimbi che hanno riempito ieri le Officine Cantelmo e che frequentano le scuole primarie di Lecce sono figli di persone che vivono qui da anni, che lavorano, che pagano le tasse, che contribuiscono in maniera attiva alla vita della comunità molto più di molti leccesi doc.

Eppure già dall’annuncio delle intenzioni di Palazzo Carafa una parte della destra cittadina non ha perso tempo nel criticare la decisione, giudicando retorica l'iniziativa oltre che sbagliata nel merito. Non è dissentire il punto, per carità, ma nessuna tentazione di facile consenso dovrebbe autorizzare un personaggio politico dotato di medio buonsenso a strizzare l’occhio a quel variegato mondo che vive di frasi come “prima i leccesi”, “Italia agli italiani”e che sui social dà sfogo a tutto il proprio repertorio di egoismo, paura e in certi casi di vera e propria disumanità. Si chiama "hate speech" nella giurisprudenza degli Stati Uniti - che di razzismo ne sanno qualcosa - e che in italiano è tradotto con "incitamento all'odio". 

Sono anni, infatti, che si assiste a un imbarbarimento rapido e pervasivo del dibattito pubblico sul tema dei migranti e a questo decadimento etico ha certamente contribuito il mondo dell’informazione che, non diversamente dalla peggiore politica, insegue le paure e le alimenta a suon di titoloni, speculazioni, martellamenti ossessivi. Esiste però un limite oltre il quale non si può scendere, oltre il quale non si può restare indifferenti: questo limite si supera quando la cattiveria o la stupidità degli adulti travolge l'innocenza dei bambini.

In tutta l’Europa sta soffiando il vento della discriminazione e dell’intolleranza, è ed è dunque sempre più necessario tenere alta l’attenzione: oggi come mai prima nella società della globalizzazione, gli autori di certe becere considerazioni non provano nemmeno il senso della vergogna, anzi ,si sentono pienamente legittimati da invadere gli spazi virtuali del dibattito con una violenza verbale sempre più inaudita, bestiale. Ma se hanno dei figli, costoro, come li educano e con che coraggio li guardano in faccia avendo un attimo prima visto in quei piccoli alunni o anche in un bimbo spaventato su un barcone alla deriva un potenziale terrorista?

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