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Giovedì, 18 Aprile 2024
Politica

I tempi della giustizia, le scelte politiche, i soldi. Intervista sul gasdotto

Il Comitato No Tap nasce nel 2011. Da allora la questione del gasdotto è diventata una partita a più livelli, in un contesto dove una piccola comunità si misura con la geopolitica e l'economia

LECCE – La storia dell’opposizione al progetto Tap, nata nel 2011, è oramai abbastanza lunga per comprendere che si sta entrando in una nuova fase.

Dopo aver contrastato l’iter di approvazione dell’opera sul piano documentale al fianco dell’amministrazione comunale di Melendugno, il Comitato No Tap, che ha mantenuto una sua riconoscibilità e centralità nel più ampio fronte del Movimento, è stato protagonista in prima linea del primo anno di protesta in strada: dai presidi a San Basilio per scongiurare gli espianti degli ulivi alle due manifestazioni a Lecce, passando per lo “sciopero generale” del 6 dicembre per i ripetuti blocchi stradali.

Ora che l’arrivo nell’area di cantiere della talpa meccanica potrebbe essere questione di settimane, rischiano di materializzarsi tutti quegli elementi agitati come spettri in questi anni: il tubo, il tunnel, l’impatto irrimediabile sul territorio di San Foca. Molte cose dal 2011 a oggi sono cambiate: a quel nucleo originario della protesta, basato su una diretta sinergia tra un comitato di respiro locale e i comuni più direttamente interessati, si sono aggiunte, soprattutto nell’ultimo anno, frange più ideologizzate e abituate a modalità di conflitto più aggressive e violente.Questa articolazione ha creato anche un certo disorientamento in una dimensione  nata e cresciuta come espressione della popolazione di Melendugno, Vernole e qualche altro centro e per questo comunque legata ai pregi e ai limiti dello spontaneismo.

L'arco di tempo dalla scorsa primavera a oggi è stato poi quello di maggiore dialettica con il mondo politico: dalle elezioni amministrative del 2017, nelle quali c’è stata anche la riconferma a suon di voti di Marco Potì a Melendugno, a quelle politiche del 4 marzo scorso, l’area di San Basilio è stata in alcuni frangenti presidiata con intensità da esponenti politici che hanno solidarizzato con i manifestanti, presentato interrogazioni in Parlamento, effettuato sopralluoghi nel cantiere. Solo che non è sempre facile distinguere le buone intenzioni dall’opportunismo. Finita l’ultima parentesi elettorale l’entusiasmo è scemato, mentre le trattative in corso per la formazione del nuovo governo nazionale sembrano aver fornito un nuovo alibi e relegato nuovamente la questione Tap a un ruolo marginale e locale.

Importanti gli ultimi mesi del 2017 anche dal punto di vista finanziario: il progetto Tap ha avuto via libera dalla Banca Europea degli Investimenti e presto lo dovrebbe avere anche dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. I due istituti daranno gran parte della liquidità necessaria, con contributi diretti e fondi di garanzia. Era questo l’ultimo grande scoglio da superare a livello europeo per i fautori del gasdotto che comunque hanno potuto contare sempre sul dichiarato appoggio delle istituzioni italiane e comunitarie, per le quali si tratta di un progetto prioritario per gli interessi del Vecchio Continente.

Uno scenario complesso insomma, dove la voce di una comunità locale deve fare i conti con disegni di geopolitica ed economia su scala globale, con le inadempienze, i ritardi, le contraddizioni della classe dirigente e anche con in tempi della giustizia, con la quale peraltro si vive un rapporto ambivalente: da una parte fiducia quando le inchieste sembrano abbozzare i risultati sperati, dall’altra rassegnazione quando invece dalle aule di giustizia emergono verdetti sfavorevoli, come ripetutamente accaduto presso il Tar o il Consiglio di Stato.

Con Gianluca Maggiore, storico portavoce del Comitato No Tap insieme a Marco Santoro Verri, abbiamo provato a fare il punto della situazione.

Uno dei fronti sul quale siete impegnati per contrastare la realizzazione del gasdotto, come dimostra il flash mob di oggi, è quello finanziario. Può essere quello più efficace?

Come diciamo da molto tempo, la struttura finanziaria di Tap è quella più complessa: andiamo dal finanziamento pubblico diretto – tramite la Bei e la Bers – a un sistema di garanzie relativo a istituti di credito privati. Banca Intesa è uno di quelli che ambisce a entrare in questo sistema.

Sul piano giudiziario è di ieri la conferma dell’incidente probatorio per verificare se il terminale di ricezione avrebbe dovuto seguire l’iter della normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti. Recentemente però il movimento ha avanzato perplessità rispetto all’operato della magistratura sull’intera vicenda. Perché?

Perseguiamo tutte le strade, ma pensiamo anche vedendo quello che accade a San Basilio, che gli interventi della magistratura siano troppo lenti. La denuncia dei sindaci che hanno dato vita all’inchiesta è di settembre, ora siamo in aprile: noi ci domandiamo cosa ne sarà di quell’area devastata ammesso e non concesso che si arrivi a qualcosa di concreto.

A proposito degli amministratori locali: la percezione è che ci sia una certa freddezza anche nei confronti di coloro che, esattamente un anno addietro erano con le loro fasce tricolori davanti ai cancelli del cantiere, insieme a voi. Cosa è successo?

Noi come Movimento non abbiamo mai puntato eccessivamente su quello che l’aspetto politico della vicenda. A noi interessava avere riscontri dal fronte istituzionale e non fare da specchio a velleità politiche : passate le elezioni è normale che il fronte si sfaldi e restino solo le amministrazioni che veramente lavorano bene.

Denunce a vostro carico, provvedimenti amministrativi di allontanamento, giornate di tensione e anche scontri. Il fronte della protesta sembra diramarsi sempre più in due direzioni: uno che sembra voler mantenere il suo imprinting pacifico, un altro che rivendica gli atti di sabotaggio e il lancio di pietre contro le forze dell’ordine come mezzi necessari alla lotta.

Questa lotta non è affare privato di poche persone. Ci può essere chi dissente, chi persegue altre modalità: quello che deve essere sempre più chiaro è che dopo sette anni le persone sono esasperate e cercano di difendersi, di creare resistenza in tutte le maniere possibili: non siamo noi a dover dire quali siano quelli legittimi.

L’arrivo della talpa meccanica in cantiere dovrebbe essere prossimo: si aprirà dunque la fase più delicata, quella di maggior impatto. Come pensate di gestire una situazione del genere?

In realtà quel momento potrebbe essere spostato a ottobre perché attualmente non esistono ancora i presupposti nel cantiere per l’ultimazione del pozzo di spinta. Anzi, abbiamo appurato che si sta creando un altro cantiere, fittizio, sulla strada per località Le Paesane, sul tracciato del tubo proprio perché in questo momento a San Basilio non si può andare tanto avanti. In più c’è da ricordare che, anche arrivasse la talpa, dovrebbe stare ferma nei mesi della stagione estiva. Ferma restando la lacunosità del progetto, dalle poche carte che abbiamo sappiamo che per la realizzazione del tunnel ci vogliono 240 giorni e come tempistica proprio non ci siamo.

Dopo anni di impegno quotidiano, prima come Comitato, poi anche come Movimento, il grosso dell’opinione pubblica sembra disinteressato a questa battaglia che viene condotta pure in nome della difesa del territorio. Perché, secondo te?

Se noi siamo qui oggi, supportando varie iniziative su scala europea contro il finanziamento alle fonti fossili, è probabile che una opinione pubblica si stia mobilitando a livello internazionale. Sul fatto che qui da noi la popolazione sia quanto meno distratta, non lo dico io, ma lo dimostrano anche altri problemi oltre alla questione Tap.

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