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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Ateneo salentino penalizzato dal finanziamento. I rettori del Sud corrono ai ripari

Le università di Puglia e Molise puntano il dito contro i criteri di ripartizione dei "punti organico" che determinano enormi disparità, premiando chi già parte in vantaggio. E firmano un documento, base dei un emendamento, con cinque proposte correttive

LECCE - Un grido di dolore, poco metaforico, si leva dai corridoi dell’Università del Salento. La causa? La distribuzione “sperequativa” delle risorse governative ai vari atenei italiani, basata su criteri che tendono a premiare chi già parte in una condizione di vantaggio. Sul profilo sia economico che sociale.

Penalizzando, paradossalmente, proprio quelle università che pur essendo forti dal punto di vista numerico (nel Salento si contano 2mila iscritti), non riescono a risalire la china perché pesantemente condizionate dalla struttura economica del territorio. E’ questo il caso, neanche a dirlo, delle regioni meridionali, Puglia e Molise in testa, sul cui bilancio incidono due parametri ugualmente negativi. Alla base già risicata del Fondo di finanziamento ordinario, che subisce  decurtazioni costanti, di decreto in decreto, non può corrispondere, infatti, un aumento della tassazione universitaria, considerato l’elevato numero di studenti che versano in condizioni di disagio e fruiscono di esenzioni quasi totali.

I rettori delle principali universitari del Sud, tra cui il neoeletto Vincenzo Zara nell’ateneo salentino, puntano quindi il dito contro l’ultimo decreto ministeriale (agosto 2013) relativo alla distribuzione delle risorse espresse in termini di “Punti organico”. I criteri scelti, conferma il rettore dell’Università del Salento Zara nel corso di una conferenza stampa tenuta insieme  al direttore generale Claudia De Giorgi e il prorettore vicario Vittorio Boscia, di fatto determinerebbero una disparità di trattamento tra gli atenei: una difformità vistosa capace di toccare la soglia minima del 6,8 percento e quella massima del 213 percento del turn over come nel caso della scuola superiore “Sant’Anna” di Pisa. Perché? Presto detto. Gli atenei che versano in una condizione economica già solida, verrebbero premiati economicamente, a dispetto di chi parte da una base debole, per effetto combinato del costo del personale e dell’indebitamento.

Come nel più classico esempio del “cane che si morde la coda”, le Università con alte ambizioni e pochi mezzi, non vengono messe nelle condizioni di spiccare il volo. Il caso dell’Università del Salento è emblematico: la sua posizione a livello regionale è decisamente migliore, rispetto agli atenei cugini di Bari e Foggia, al punto che per l’anno 2013 ha raggiunto la soglia del 17 percento, pari a 3,09 punti organico. Ma ciò non basta ad evitare che la qualità dell’offerta formativa peggiori a causa del sotto finanziamento, al pari della varietà e tipologia di servizi che l’ateneo è in grado di offrire per attrarre studenti e nuovi investimenti. Lo spiega a chiare lettere lo stesso Vincenzo Zara, sottolineando come questa possibilità sia in aperta contraddizione con lo “spirito” di elargizione della quota premiale del Ffo, al netto quindi della base “storica” del finanziamento (quella fissa, per intenderci) che rappresenta l’87 percento.

Le soluzioni, però, non mancano. E a questo proposito i rettori di Puglia e Molise hanno messo a punto un documento che contiene cinque proposte migliorative, partendo dal presupposto che l’istruzione superiore non debba rappresentare tanto un costo per le casse pubbliche, quanto un volano per la ripresa economica di un Paese. Le proposte saranno portate anche all’attenzione delle forze politiche locali e nazionali e rappresentano la base di un emendamento aggiuntivo al recente decreto legge “scuola”.

La prima riguarda il ripristino della clausola di salvaguardia (omessa nel decreto del 2013) che fissa un tetto massimo del 50 percento per i punti organico, innalzando di conseguenza anche la soglia minima. La seconda concerne, invece, l’immediata emanazione di un decreto ministeriale che fissi il costo standard di formazione per studente, con riferimento alle diverse categorie e contesti di provenienza. Lo scopo sarebbe quello di vincolare la distribuzione del Ffo al numero di iscritti.

La terza proposta  riguarda l’applicazione di una disposizione di legge (finora disattesa) in base al quale lo Stato integra gli incentivi agli atenei, tenendo conto dell’impegno di ciascuna università nel garantire il diritto allo studio.

La quarta proposta riguarda le spese del personale in regime convenzionale con il sistema sanitario nazionale. Infine il documento chiede l’introduzione di un correttivo al riparto delle risorse che tenga conto degli indici di “deprivazione sociale” elaborati dall’Istat. Relativi, quindi, alle condizioni socio-economico e culturali del territorio di insediamento di ciascuna università.

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