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Giovedì, 28 Marzo 2024
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A tutti i costi lo scoop che non c'è. Il sindaco frena l'assalto a Palazzo

Il sindaco Paolo Perrone regolamenta l'accesso dei giornalisti a Palazzo Carafa: via libera per i consigli, le commissioni e le conferenze. Per altre esigenze, sarà necessaria una comunicazione. La polemica è dietro l'angolo

 

LECCE – Avrà avuto sicuramente piene le tasche di ritrovarsi dietro la porta del suo ufficio, sotto il tavolo, nel bagno, dentro una fotocopiatrice il cronista d’assalto di “bianca”, così chiamiamo, noi giornalisti, la cronaca che non è “nera”. E allora Paolo Perrone  decide di regolamentare l’accesso ai reporter a Palazzo Carafa. Giusto? Sbagliato? Giusto.

Più volte abbiamo assistito a occhiolini reciproci simil-confidenziali tra amministratori e cronisti, lunghi caffè giù al bar, cronisti in perenne ricerca spasmodica di uno scoop, del “buco” da dare agli altri nei tg, sulle colonne della carta stampata, sul web. Vale più il “buco” - così chiamiamo noi giornalisti la notizia che lanciamo e che le altre testate non hanno -, che narrare le vicende del Palazzo in maniera corretta ed imparziale. Vuoi mettere?

Noi che dei nostri passaggi a vuoto - inevitabili se si è umani - non ci vergogniamo, pensiamo che porre una regolamentazione che non pregiudica nemmeno uno dei momenti "pubblici" per eccellenza - consigli, commissioni, conferenze, dove la trasparenza è d'obbligo oltre che di buon senso -, non sia un attentato alla libertà di informazione. Purché se ne parli senza pregiudizi, da una parte e dall'altra.  Sedersi attorno a un tavolo per discutere del perché si è giunti a questo punto e come si possa rimediarvi senza scatenare una guerra santa ci sembra una proposta ragionevole.

Scrive Perrone: “Con tutti i giornalisti, di qualunque testata, sia essa nazionale o locale, ho sempre  tenuto un buon rapporto, lineare e trasparente, basato sul reciproco rispetto. Negli ultimi tempi, tuttavia, ho riscontrato, purtroppo,  una serie di atteggiamenti che hanno sconfinato, a volte, nella maleducazione da parte di alcuni operatori del mondo dell’informazione: c’è chi staziona quasi quotidianamente dietro la porta del mio ufficio  e nelle stanze della mia segreteria, pronto ad effettuare riprese con la telecamera o con i telefonini”.

E già. Benedetto Report della bravissima Gabanelli. Ma quella è un’altra storia. Che non s’improvvisa. Parte da molto lontano, quel tipo di professionalità, quel prodotto di Rai3 che fa scuola, vera, di giornalismo. Parte, tanto per dire, dai confini di guerra. Si chiamano inviati di guerra.

Noi, al massimo, siamo inviati di redazione. E lo diciamo con orgoglio, ci mancherebbe. E allora, cosa significa? Noi giornalisti di provincia non possiamo fare il nostro mestiere? Certo che sì. Ma sta ad ognuno, poi, stabilire prima di tutto, cos’è una notizia e quanto questa notizia, semmai tale fosse, abbia leso nel frattempo la privacy dei cittadini che in quel momento sono a Palazzo per raccontare all’assessore, al sindaco, al consigliere, che non hanno i soldi per fare la spesa.

“Si tratta di comportamenti che hanno finito da un lato per ledere il diritto alla privacy dei cittadini – continua il primo cittadino - e dall’altro per alimentare confusione all’interno degli uffici di Palazzo Carafa, in particolare nella mia segreteria e nel settore Comunicazione.  Per queste ragioni ho deciso di adottare un provvedimento ad hoc al fine di regolamentare l’accesso ai giornalisti, ai cameramen e ai fotografi negli uffici comunali”.

C’è l’Albo pretorio, gli uffici degli assessori, quelli dei consiglieri, i loro telefoni. Il Palazzo dei giornalisti è in quelle stanze, semmai. E lì che ci sono le “carte”. Pascolare tra il piano terra, primo e secondo piano no ha quasi mai portato notizie, se non la sagra della cucuzzella.  “Ho visto entrare il commendatore Rossi nella sala del sindaco. Chissà che c’è sotto”. Un bel nulla.

Scrive ancora Perrone: “So bene che in qualità di sindaco non ho diritto alla privacy ma è altrettanto evidente che tale prerogativa appartiene a tutti i liberi cittadini, più o meno noti all’opinione pubblica, che hanno l’esigenza e la necessità di incontrare il sindaco senza rischiare di finire a loro insaputa sugli schermi di qualche tv locale o sulle pagine dei giornali a causa di qualche “imboscata” di giornalisti a caccia di pseudo scoop. Non ritengo che sia questo il modo migliore di fare informazione. Di certo non fa parte del ‘pedigree’  professionale della stragrande maggioranza di operatori che ogni giorno con serietà e impegno svolgono il loro lavoro nella nostra città”.  

E meno male. La verità è che oggi questo mestiere è diventato un bel tritacarne. Lecce, in proporzione, ha il più alto numero di organi d’informazione che Roma. Ma questa non è la capitale. E’ solo l’ultima provincia dell’impero, che vi piaccia o no. Che si può raccontare, si deve raccontare, ma senza occhiolini.

Essere cronisti veterani è una cosa, fare credere alla nuove generazioni di giornalisti d’essere una spanna sopra, un’altra. L’abbraccio, il tono superconfidenziale, il caffè al bar andandoci sotto braccio, il passo deciso verso gli uffici degli amministratori, le pacche sulle spalle, i complimenti gratuiti sia da un parte che dall’altra, solo con alcuni, ma non con altri. E allora impossibile notare gli occhi imbarazzati, assenti, esclusi dei cronisti di prima leva, che guardano e chissà che pensano di fronte a queste sceneggiate paesane dei veterani. Tranquilli ragazzi, è tutta una farsa.

 

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