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Trivelle nel mare, Legambiente chiede a Clini tutela per la Puglia

La delegazione regionale ha incontrato il neo Ministro dell'ambiente: al centro del dibattito il confronto sulle piattaforme petrolifere. Tarantini: "Preistoria energetica. Il vero oro pugliese è il turismo"

ROMA - Il pericolo trivellazioni nell’Adriatico tiene ancora banco, alla luce dell’incontro mattutino, a Roma, tra la delegazione di Legambiente ed il nuovo Ministro dell’ambiente, Corrado Clini: gli ambientalisti hanno chiarito che lo stop alle piattaforme petrolifere sia per la Puglia una priorità, in quanto il vero “oro nero” della regione sarebbe il turismo.  A pochi giorni dalla sua nomina, Clini ha voluto delineare insieme a Legambiente un percorso costruttivo al fine di pianificare ed attuare politiche ambientali efficaci per il paese.

Fra le numerose istanze sollevate dall’associazione del “cigno verde”, non poteva mancare quella inerente alle piattaforme petrolifere lungo la costa adriatica ed in particolare al largo della Puglia: per Legambiente, il rilancio del settore energetico in Italia deve essere basato su “innovazione”, “efficienza” e “rinnovabili” e non sulla ricerca di idrocarburi, che oltre ad essere “una seria minaccia per l’ambiente”, apparterrebbe alla “preistoria energetica”.

“Di fronte alle proteste unanimi di associazioni, comuni, province e regione ci auguriamo che il Ministro, che ha mostrato grande attenzione al problema – ha dichiarato Francesco Tarantini, presidente regionale dell’associazione -, blocchi tutte le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi al largo della Puglia, che, oltre a rappresentare una seria minaccia per la conservazione della biodiversità andrebbero in controtendenza rispetto alle scelte fatte dalla Regione Puglia che negli ultimi anni ha puntato sul turismo di qualità, sulle fonti energetiche rinnovabili e sulla tutela del territorio e delle aree protette. Sono queste il vero petrolio della Puglia”.

trivell-2-2-2-2-2Con il dossier “Un mare di trivelle”, Legambiente ha voluto ricordare che in Italia, nella corsa all’oro nero, il mare non viene risparmiato: sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011, al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania. Nello scorso anno, in Italia sono state estratte poco più di 5 milioni di tonnellate di petrolio (4,4 milioni di tonnellate a terra e circa 700mila tonnellate a mare), pari al 7% dei consumi totali nazionali di greggio.

“Siamo di fronte – continua - ad un vero e proprio assedio del mare nostrum da parte delle compagnie straniere, che hanno presentato il 90% delle istanze di ricerca nel mare del nostro Paese, considerato il nuovo Eldorado, grazie alle condizioni molto vantaggiose per cercare ed estrarre idrocarburi. Ma, come ripetiamo da anni, il gioco non vale la candela e le nuove piattaforme petrolifere rappresentano una seria ipoteca sul futuro delle nostre coste, come ha dimostrato la tragedia ambientale del golfo del Messico. Infatti, secondo il Ministero dello sviluppo economico le riserve stimate di petrolio sono pari a 187 milioni di tonnellate che, considerando il tasso di consumo del 2010 di 73,2 milioni di tonnellate, verrebbero consumate in soli 30 mesi, cioè in 2 anni e mezzo”.

Sul fronte dei ricorsi amministrativi, rimane tutto fermo fino al prossimo 22 marzo 2012, quando il Tar del Lazio si esprimerà sul merito dei ricorsi di Legambiente,Wwf, Csn, Lipu e Fai per l’annullamento del decreto del Ministero dell’ambiente del 29 marzo scorso che ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale al programma di trivellazioni proposto da Petroceltic al largo delle isole Tremiti.

 

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