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Piano delle coste, primo nodo al pettine: le spiagge libere con servizi

Diffuse in tutta Europa e più di recente in alcuni tratti costieri del Salento, mancando del tutto sul litorale leccese. Sono una delle novità della programmazione del Comune, ma il Pd è perplesso. In commissione prime schermaglie

LECCE - L'avvio della discussione in commissione Urbanistica del Piano comunale delle Coste, che dovrà essere approvato e discusso nell'assise cittadina, ha fatto emergere una differenza di posizioni all'interno della maggioranza per quanto riguarda il peso delle spiagge libere con servizi rispetto a quelle libere tout court. Un nodo, questo, che potrà essere sciolto con una mediazione anche se l'impressione è che ci sia una divergenza di prospettive su un'altra questione di fondo.

Per non ingenerare confusione sulle nozioni essenziali, va ricordato che le spiagge libere con servizi sono tratti di arenile in concessione (ma tramite bando pubblico), ad accesso assolutamente libero, con possibilità per il cittadini di fruire gratuitamente di bagni, docce, e, non da ultimo, di portarsi da casa ombrellone e lettini senza dover chiedere permesso a nessuno e senza scucire un euro. Libera, infatti, resta la scelta di noleggiare sul posto l'attrezzatura che non può essere comunque lasciata in sede fissa. Diffuse in tutti i paesi costieri d'Europa - molto più dei classici stabilimenti all'italiana - le spiagge libere con servizi sono apprezzate dagli utenti del mare e dagli stessi italiani che all'estero si confrontano con un modo diverso di gestire il litorale. Anche nel resto della provincia di Lecce negli ultimi anni questo modello ha iniziato a diffondersi, ma sul litorale del capoluogo proprio no.

La seconda premessa riguarda il contesto normativo: la legge regionale prevede che le concessioni demaniali classiche (i lidi) non superino il 40 percento della superficie concedibile (non lo è tutto il litorale, considerando aree protette e quelle soggette a forte erosione) e che, del restante 60 percento, fino a massimo il 40 possa avere servizi nei termini suddetti (quindi, alla fine, si tratterebbe di un quarto del totale).

Chiarito questo per amor di verità, la cronaca della seduta di commissione - nella quale l'assessora Rita Miglietta si è limitata a ricostruire l'iter che ha portato all'adozione in giunta - riporta per primo l'intervento della presidente, Paola Povero, che ha lamentato un "vulnus", cioè l'eccessivo spazio che sarebbe stato riservato alle spiagge libere con servizi rispetto a quelle libere (e basta), ponendo alla base delle sue perplessità il tema della fragilità economica delle famiglie, soprattutto dopo la pandemia.

Per contro, Gabriele Molendini di Lecce Città Pubblica ed Ernesto Mola di Civica hanno sottolineato il carattere di equità sociale alla base della ripartizione, rimarcando che il cittadino in nessun caso ci rimetterà: guadagnerà in servizi essenziali, come i bagni e la doccia, e solo se vorrà potrà noleggiare ombrellone e lettino. Mola ha quindi spostato il focus dell'attenzione: "Chi ci perde, dunque, il cittadino? No, perché può accedervi liberamente. Forse allora sono i concessionari dei lidi a perderci perché le spiagge con servizi potranno rappresentare una concorrenza con ombrelloni affittati per esempio a 15 euro, con due lettini, invece che a 30. Questo piano delle coste crea equità e anche la possibilità di fruire del litorale nel modo in cui si vuole. E se ci sarà concorrenza, ben venga perché sarà produttiva di qualità per i cittadini".

Poi c'è stato l'intervento del capogruppo del Pd, Antonio Rotundo: "La spiaggia libera con servizi - ha detto a un certo punto - è normata come una concessione demaniale vera e propria, ma invito i colleghi a non enfatizzare la scelta, che fino a un certo punto può essere anche utile, di dare a un concessionario una spiaggia pubblica. La spiaggia libera è un diritto di cittadinanza, un diritto vitale delle persone: per forza il 40 percento dobbiamo concedere o possiamo mitigare questa quota?" ha concluso rinviando poi alla sovranità del consiglio comunale le decisioni finali (in realtà la percentuale prevista dal piano è inferiore: al 40 percento corrispondono 2.500 metri lineari e di questi ne verrebbero dati in concessione 1.400).

Secondo il capogruppo dem, che non ha comunque messo in discussione l'impostazione del piano né la necessità della sua adozione "dopo decenni di anarchia", l'amministrazione di centrosinistra starebbe seguendo una linea tipica delle giunte di centrodestra. Sul piano delle dichiarazioni, dunque, il Pd preme per una correzione di rotta verso posizioni più progressiste, più attente alla valorizzazione delle spiagge come bene comune. Sul piano dei fatti è una coincidenza con i timori dei balneari per una concorrenza maggiore nell'offerta dei servizi ai frequentatori delle marine leccesi.

Il tema della gestione complessiva del litorale e delle modalità di fruizione, d'altra parte, non può essere scisso dall'annosa questione delle maxi-proroghe delle concessioni demaniali: l'ultima, quella formalizzata dal governo M5S-Lega e poi ribadita dal Conte bis, è stata concessa fino al 2033 ma sulla sua applicabilità è sorto un contenzioso in varie zone del Paese (tra queste Lecce) sul quale il Consiglio di Stato si pronuncerà nell'insolita forma dell'adunanza plenaria, a ottobre (data la complessità della materia). 

Il sistema delle proroghe, infatti, aggirando il ricorso a bandi pubblici, rappresenta un peso che si scarica sulle spalle dei contribuenti: l'Unione Europea accusa l'Italia di garantire un regime di monopolio agli storici concessionari e per questo non esita ad aprire procedure di infrazione. Il dichiarato conflitto tra ordinamenti, già oggetto di sentenze delle più alte magistrature, dalla Corte di Giustizia Europea a quella di Cassazione, favorevoli alla prevalenza e diretta applicabilità delle direttive comunitarie, ha dunque indotto alcuni enti locali a negare ai concessionari la proroga automatica. Il Pd locale, in linea peraltro con l'atteggiamento dei vertici nazionali, ha sempre mostrato molta sensibilità rispetto alla posizione dei concessionari. Questi ultimi hanno fatto barricate e ricorsi contro la decisione del Comune di Lecce di limitarsi a una proroga tecnica solo triennale nell'attesa di un riordino di tutta la materia, trovando nel Tar locale una preziosa sponda (ecco perché si è finiti al Consiglio di Stato).

Difendere il valore sociale di un bene comune come la costa non significa allora ragionare anche sulla rottura o per lo meno sul ridimensionamento della concezione proprietaria sempre di moda nel nostro Paese? Il dibattito che proseguirà in commissione e poi in aula si incaricherà di chiarire dunque, davanti alla città, quali sono le prospettive in gioco, ben oltre la questione di qualche centinaio di metri lineari.

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