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Dalla primavera di Nichi all'autunno di Michele: lo schema cambia, l'esito no

La riconferma del presidente uscente poggia su un modello indigesto a una parte del centrosinistra. Ma il timore dell'ondata sovranista ha ricompattato le linee. L'errore di Giorgia Meloni, il ghigno della Lega

LECCE – La riconferma di Michele Emiliano alla presidenza della Regione Puglia, che vale il quarto mandato consecutivo per il centrosinistra, è in primo luogo l’affermazione del suo controverso modello: inclusivo di pezzi di centrodestra fino a creare imbarazzo e fastidio nell’elettorato progressista, ma con lo scopo dichiarato di mettere in fuorigioco il sovranismo nell’unico modo ritenuto possibile; disinvolto nella gestione degli equilibri interni, ma tremendamente efficace con il dispiegamento di un convoglio di liste nelle quali la qualità media è stata rinvigorita dalla determinazione di una generazione di giovani candidati già protagonisti di esperienze amministrative importanti (Alessandro Delli Noci a Lecce, Donato Metallo a Racale, per fare qualche esempio).

In seconda battuta, Emiliano ha potuto giovarsi della spinta di molti sindaci, a partire da quelli di Bari e Lecce, Decaro e Salvemini, capaci di tenere insieme e tonificare per lo sprint finale gli umori di una base che guarda con nostalgia al soffio rinnovatore della “primavera pugliese” – quella che portò clamorosamente Vendola al governo della regione, proprio contro Fitto, nel 2005 –, ma che ha scelto con realismo di affidarsi ai colori di un “autunno” ideologico sul solco della continuità, senza dimenticare  l’ambito sanitario e le incognite legate all’epidemia di Covid-19. L'affluenza al voto, superiore alla tornata precedente, ha dimostrato non solo tenuta ma anche capacità di ulteriore mobilitazione. Forse la metafora della stagioni non entusiasma Emiliano, ma il succo del discorso resta, come hanno confermato le sue prime parole da vincitore: "Qui non ha vinto nessuno da solo, abbiamo vinto tutti insieme e abbiamo dimostrato soprattutto all'Italia che la Puglia c'è, che la Puglia ce la fa e che oggi non è, come qualcuno si aspettava, il primo giorno dell'autunno, ma è ancora primavera. È ancora primavera pugliese ed è una primavera che appartiene a tutti, a tutti coloro che hanno dato una mano e sono tanti. È stato importante essere uniti. Unità e volontà di andare avanti sono stati gli elementi più importanti". 

Di contro il centrodestra sovranista è andato a sbattere sul un muro, quello dell’ostinazione di Giorgia Meloni per la candidatura di Raffaele Fitto all’interno di una operazione di spartizione sul piano nazionale che è stata lunga, logorante e, a dirla tutta, anche poco rispettosa dei pugliesi di centrodestra. La riproposizione di un volto abbondantemente noto, 15 anni dopo la sconfitta contro Vendola, non ha trascinato le “masse”, anzi: l’eurodeputato di Maglie, a conti fatti, dovrebbe aver ottenuto meno voti della coalizione che lo ha sostenuto.

In questo contesto il ko tecnico in Puglia probabilmente non dispiace poi tanto alla Lega, il partito che maggiormente aveva spinto per una candidatura alternativa e che ora può rivendicare un cambio di passo mandando in soffitta quell'establishment post democristiano che in Fitto ha avuto il principale regista negli ultimi venti anni.

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