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Primo maggio: ma è davvero festa per i lavoratori?

Flessibilità, elasticità, precarietà. Se il Novecento è stato il secolo degli "-ismi", il Duemila è quello dei "-ta". Il mondo sta cambiando, ma "grigio" e "nero" continuano ad imperversare

Primo maggio. Un tempo era la festa dei lavoratori. Nelle metamorfosi incontrollabili del nuovo secolo, che dal precedente ha ereditato tutte le schizofrenie possibili, amplificandole a dismisura, da festeggiare resta ben poco. Scimmiottando modelli lontani per cultura ed attitudine, si è arrivati oggi alla concezione di un mercato che succhia tutta la polpa del lavoratore, lasciandone sparse sul campo le ossa. Al lavoratore il mercato dei pochi potentati con il portafogli gonfio finisce per fare la festa, altroché. E qui la metamorfosi: il grigio-nero e tutte le gradazioni opache continuano ad esistere, nascoste spesso dietro al paravento di "flessibilità", "elasticità" "semi-precarietà" e di tutti i "-tà" del caso. Se il Novecento è stato il secolo degli "-ismi", il Duemila sembra essere quello dei "-tà".

E poi ci sono le "morti bianche". Ancora si muore di lavoro, di lavoro si resta offesi, mutilati, segnati a vita. Se nel Duemila si possono ancora perdere un occhio, una mano, la vita per un pezzo di pane, è segno che la strada da percorrere è ancora lunga. Come dire: c'è tanto da lavorare. E allora, è solo un ricordo lontano la memoria delle battaglie operaie di New York e Chicago di fine ‘800? Siamo ancora fermi lì, pur se circondati da tecnologie mozzafiato?

"Il 1° maggio, festa dei diritti, non può essere solo una festa, o la data di un concerto per i nostri giovani", commenta Antonio Rotundo, candidato per l'Unione. "Mai come in questo periodo il mondo del lavoro, la politica, le istituzioni, hanno avuto bisogno di riflettere sulla condizione che oggi vivono i lavoratori nelle loro varie forme: a tempo indeterminato, precari, in nero, part-time, immigrati, in affitto e via discorrendo. È grande infatti oggi la solitudine dei lavoratori precari, la maggior parte giovani e donne, che affrontano il mondo del lavoro in una posizione di oggettiva debolezza".

"Lavoratori dei call center, commesse dei negozi, camerieri nei pub, dipendenti dei grandi ipermercati, segretari e collaboratori a vario titolo e tanti altri ancora - dice ancora Rotundo-, lavori dove regna sovrano l'utilizzo di forme contrattuali alternative o atipiche. Lavoro flessibile certamente, indispensabile in una società che va radicalmente cambiando abitudini e linguaggi, ma anche diritti diffusi, tra cui quello di avere un figlio o di fare un mutuo per una casa, di giusti turni di riposo per vivere la propria vita serenamente, di protezione e rappresentanza, di quei valori di mutualità e di sostegno che sono stati le grandi conquiste dei loro padri".

"Ha senso parlare di festa del lavoro, anzi dei lavoratori, ancora oggi?", si chiede invece Paolo Perrone, che concorre alla carica di sindaco per il centrodestra. "Qualche dubbio ce l'ho, ma allo stesso tempo mi dico di sì, che ha senso: oggi più di ieri. Perché il lavoro, diritto individuale su cui i Padri costituenti vollero fondare la nostra Repubblica, continua ad essere un'incognita per troppi, nel nostro Paese. Un terno al lotto, più che la formidabile certezza auspicata dalla Costituzione".

"Così il mio pensiero di oggi, festa dei lavoratori - prosegue Perrone - va soprattutto a quanti vedono quel diritto trascurato e calpestato: tra cui quei giovani leccesi che per trovare occupazione sono costretti a lasciare la loro terra, ad esempio, perché a Lecce non trovano spazio la loro grinta e le loro competenze professionali. Oppure, ancora, a quei leccesi che non hanno neppure la forza o l'occasione di andarsene, e devono restare qui a fare i conti con un mercato del lavoro che strangola il merito e, spesso, la decenza. A queste persone voglio dire: coraggio, stiamo lavorando per voi. Per far sì che arrivi il vostro turno, dopo quelli che in questi anni si sono inventati, con l'aiuto dell'amministrazione Poli Bortone, una professione decorosa e redditizia".

"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto - interviene Wojtek Pankiewicz, sostenuto dalle forze del Centro moderato. "D'altra parte - prosegue - la stessa forma di stato è definita ‘Repubblica fondata sul lavoro'. Questa disposizione, come tutte le disposizioni costituzionali, ha natura precettiva, ma poiché richiede l'intervento, a tutti i livelli, degli organi pubblici per rendere effettivo il diritto al lavoro, è anche norma promozionale, la quale vincola i pubblici poteri a perseguire una politica di piena occupazione. Il Centro Moderato ha tra le sue priorità programmatiche la lotta alla disoccupazione, che è una delle piaghe anche per la città di Lecce. Lotta da condurre in sinergia con l'Università, Confindustria, sindacati, Camera di commercio, associazioni e forze vive del territorio".

Così si esprimono alcuni fra i candidati alla poltrona di sindaco, a Lecce. Hanno voluto inviare via e-mail i loro pensieri su questa ricorrenza. L'auspicio, che riguarda anche gli altri concorrenti in gara, Mario De Cristofaro e Salvatore Bianco, è che l'impegno, nel piccolo di una città che ancora arranca, nonostante diversi progressi compiuti negli anni, possa essere reale, al di là di tutte le parole di rito. Lecce avrà pure un'anima artistica ed un cuore candido come la pietra su cui è scolpito il suo Barocco. Ma il nero, qui come altrove, ci ricorda di essere pur sempre una realtà del profondo Sud.

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