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Centri per immigrati pieni, nell'emergenza il Salento è solo

Gli sbarchi di ieri hanno riproposto le difficoltà logistiche nella gestione degli extracomunitari: problemi nei Cara e nei centri famiglia per minori. Si fa largo l'ipotesi che il "don Tonino" torni struttura "permanente"

OTRANTO – “L’emergenza non c’è”. Praticamente, non esiste. Impalpabile come l’aria. Il messaggio finora è stato questo. Un po’ controverso, veramente, dinanzi al manifestarsi di un fenomeno migratorio sempre più costante nel Salento. Certo, chi ha vissuto l’epoca degli sbarchi degli anni Novanta continua a sostenere che non si possa parlare di vera e propria “emergenza”, perché, allora, gli arrivi erano superiori alle mille persone alla volta. Ma il virtuosismo delle parole è diventato l’alibi, dietro cui forse nascondere il problema. E se “emergenza” è un termine inappropriato o addirittura tabu (come imposto dall’indole rassicurante di certa politica), non si può far finta che il problema non esista. Anzi.

Anche perché il “don Tonino Bello”, centro di prima accoglienza, alle porte di Otranto, continua a fare i conti con cifre ballerine e con ospiti che superano ormai regolarmente la propria capienza. E qui il virtuosismo da paroliere conta poca. Interessa semmai più la concretezza disarmante del disagio, che i volontari e le forze dell’ordine ben percepiscono e che, oggi, inizia a far emergere i deficit organizzativi da parte di chi avrebbe dovuto meglio pianificare quella che è di fatto una situazione strutturale e non sporadica.

Come un puzzle mal riuscito, che si cerca di comporre tessera dopo tessera con pezzi che restano in mano e non trovano collocazione, così è oggi la gestione del fenomeno migratorio sulle coste pugliesi. Si denota chiaramente la difficoltà a collocare nei centri deputati le persone che arrivano nelle lunghe traversate della speranza. Basti pensare a quello che è accaduto nella giornata di ieri: i primi sbarchi nel Capo di Leuca, che hanno condotto nel centro otrantino 35 persone. Di quest’ultime, solo una decina sono state destinate agli altri centri pugliesi. Segno che anche fuori da Otranto le altre strutture hanno raggiunto la soglia di contenimento.

Quando poi, in nottata, sono stati rintracciati altri quaranta profughi, ricondotti al “don Tonino Bello”Foto (M.B.)-2, il quadro si è ancora più definito nella sua oggettiva complessità. Non solo il centro di Otranto è in sovraccarico numerico rispetto alle possibilità (non è la prima volta), con tutti i rischi di gestione del caso (basti pensare a quanto già accaduto a giugno), ma anche le altre strutture pugliesi sembrano sature. Idem dicasi per i centri famiglia, ai quali vengono affidati i minori, che manifestano carenze logistiche per poter ospitare i piccoli.

Come si è giunti a questo stallo? Perché, nonostante i segnali evidenti arrivati nei mesi scorsi, non sono stati colti dall’autorità competente per una pianificazione più attenta al caso? C’è ancora qualcuno convinto che sia illogico parlare di “emergenza”? In tutto questo, straordinario è senza dubbio l’impegno profuso da realtà come la Croce Rossa, la Misericordia di Otranto e le forze dell’ordine, che vivono in prima linea la gestione dell’emergenza e che hanno garantito il superamento di molte criticità.

Ma la questione è aperta e, intanto, si fa largo la sensazione che, nonostante le smentite a riguardo, anche lo status del “don Tonino Bello” sia destinato a mutare nuovamente, diventando da “centro di prima accoglienza” (come sancito in uno specifico protocollo) una struttura “permanente” per immigrati. In tal senso, le bocche, tra gli addetti ai lavori, sono ben cucite. Ma resta più che una semplice indiscrezione.

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