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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica Trepuzzi

Omfesa, dalla crisi al fallimento, passando dai processi: parla Ennio De Leo

Sul caso del fallimento dell'azienda, per il quale nei giorni scorsi s'è svolta una manifestazione all'interno di Trepuzzi e che ha anche suscitato un aspro dibattito politico, ora prende parola il suo presidente. Con una lunga disamina sulle vicende che avrebbero condotto allo stato attuale

TREPUZZI - Sul caso del fallimento dell’Omfesa, per il quale nei giorni scorsi s’è svolta una manifestazione all’interno di Trepuzzi e che ha anche suscitato un aspro dibattito politico, ora prende parola il suo presidente, Ennio De Leo. Che ripercorre tutta la vicenda dalla sua prospettiva. Dalle scelte di Trenitalia, ai nuovi piani industriali, passando da cassa integrazione e processi conclusisi con assoluzioni (ma anche con il pagamento onerose parcelle), e fino alla situazione attuale. Una lunga disamina pubblicata integralmente.

di ENNIO DE LEO  

“L’Omfesa entrò in crisi già dal 1998 “per mancanza di commesse”. Da quel periodo, iniziarono a registrarsi perdite di bilancio molto consistenti, durate fino al 2003, che misero in pericolo la stessa esistenza dell’azienda. La crisi di commesse, fu determinata dalla scellerata politica di bilancio (per l’Omfesa e per le altre aziende del settore) di Trenitalia, che mise quasi tutti i riparatori e costruttori di carri ferroviari praticamente in ginocchio, con la decisione di ridurre il parco rotabile merci in maniera drastica e con l’ulteriore iniziativa di effettuare le revisioni cicliche presso le proprie officine, anche se con personale esterno.

Tutto ciò, determinò un’improvvisa riduzione di commesse, prima progressiva e poi definitiva, comunicata inaspettatamente nel luglio 2002, senza possibilità per i riparatori, di poter opporre alcuna resistenza e con evidente disagio, dal momento che Trenitalia nella vicenda, si dimostrò  irremovibile ed assolutamente disinteressata alle sorti di migliaia di lavoratori sparsi in tutta l’Italia.

Malgrado quanto innanzi, l’azienda, “sbagliando”, non solo non pensò di attivarsi prontamente e per tempo per una ristrutturazione industriale, ma  continuò a mantenere i livelli occupazionali, ricorrendo poi alla cassa integrazione ordinaria, che dura fino ad oggi, su sollecitazione delle Istituzioni, della politica e su enorme pressione sindacale, esercitata attraverso scioperi, blocchi stradali e aziendali.

Al nuovo amministratore, arrivato a maggio 2003, fu consegnata una società sull’orlo del fallimento e si dovette prendere atto della seguente situazione:

  • Indebitamento complessivo per oltre € 10.000.000,00;
  • Numerose istanze di fallimento;
  • Numerosissimi decreti ingiuntivi e precetti;
  • Commesse zero;
  • Speranza di commesse zero;
  • Lavoratori in CIG  n°. 187;
  • Stabilimento obsoleto e non adeguato a norme di sicurezza;
  • Progetto legge 488 sbagliato ed inutile del quale sono ben note le successive vicende, conseguenti ad una indagine della Procura, sfociata in un processo, dal quale il sottoscritto uscì assolto perché il fatto non sussiste, ma che per l’azienda fu un vero e proprio salasso, dal momento che subì danni per oltre euro 1.000.000,00 a causa del blocco delle lavorazioni, consequenziale al sequestro dei macchinari e per effetto delle penali successivamente pagate a Trenitalia per i ritardi nelle consegne;
  • N. 60 lavoratori assunti in contratto di formazione, in un momento di crisi aziendale, che vedeva una forte contrazione di commesse, con la stessa formazione interrotta ed i detti lavoratori in CIG;
  • Assoluta mancanza di progettualità per una riconversione industriale;
  • Una proprietà stanca e demotivata per le perdite continue che iniziate consistentemente nel 1999 (- 954.701.421 lire ); 2000 (- 754.573.832 lire); Le perdite si sono protratte fino al 2002 con un picco di € 1.552.707,00 proprio in quell’anno;
  • Percentuali elevatissime di assenteismo, con certificazioni mediche continue e spesso per alcuni lavoratori, di durata oltre l’anno; 
  • Coefficienti di produttività bassissimi;
  • Elevatissima conflittualità sindacale;
  • Pretesa da parte di quasi tutti i lavoratori, di dover rimanere in fabbrica, anche se di lavoro e commesse, l’azienda non ne aveva.

Si procedette immediatamente all’elaborazione di un “piano di ristrutturazione industriale”, d’intesa con le Istituzioni e con le organizzazioni sindacali che permise il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per tutti i lavoratori, per il periodo necessario per la riconversione delle attività dell’azienda, che doveva trasformare il suo core business, dalla riparazione dei carri, alla riparazione delle carrozze in via principale, effettuando altresì alcuni investimenti (acquisto di tre banchi prova ed altre attrezzature necessarie allo scopo).

Non va trascurato il fatto che, per mantenere inalterati i livelli occupazionali, la proprietà si è fatto carico di anticipazioni in conto futuro aumento capitale sociale e prestiti alla società, per circa € 2.600.000,00. La proprietà ha altresì elevato poi nel 2004 il capitale sociale, portandolo da € 500.000,00 a €  2.372.800,00 e acceso un mutuo nel 2010, per € 2.500.000,00.

Il piano di ristrutturazione industriale, era strettamente collegato all’ottenimento di commesse da parte di Trenitalia, almeno nelle attività tradizionali, per non meno 12.000.000,00 € l’anno, per almeno due anni, in modo da consentire all’azienda, oltre al riassorbimento progressivo della manodopera, anche la graduale riqualificazione della stessa a mezzo di corsi di formazione in corso di lavoro ed un conseguente livello economico finanziario di equilibrio. E’ inutile sottolineare che non vi furono assegnazioni di lavoro da parte di Trenitalia.

Preso atto dell’assoluta insensibilità di Trenitalia, l’Omfesa, si vide costretta a tentare di diversificare l’attività, rivolgendo le sue attenzioni verso un settore che nel 2003, stante la fervente progettualità, appariva di sicura realizzazione (costruzione di torri eoliche).

All’uopo, modificò il piano di ristrutturazione industriale, che provvide a sottoporre all’esame ed approvazione delle Parti Sociali ed alle istituzioni interessate (Task Force per l’Occupazione diretta dall’Onorevole le Borghini – Ministero del Lavoro – Regione Puglia – Comuni di Lecce e Trepuzzi – Trenitalia). 

Quelle torri, poi, non furono mai realizzate, a causa della mancata realizzazione dei corsi di formazione da parte della Provincia di Lecce, che perse il finanziamento del Fse ed anche per quei corsi di formazione, il sottoscritto ha dovuto affrontare un processo per istigazione alla corruzione, dal quale è uscito assolto “per non aver commesso il fatto”, con la conseguenza che i corsi di formazione non furono fatti, si persero oltre 2.500.000,00 euro di finanziamento del Fse e l’azienda dovette andare avanti riqualificando a proprie spese in corso di lavoro, grandissima parte del personale, che non aveva mai effettuato quelle lavorazioni, con un enorme dispendio di ore di lavoro.

Quel piano di ristrutturazione fu rispettato solo da Omfesa, che provvide ad investire in nuovi macchinari, attrezzature ed ammodernamento graduale e parziale delle infrastrutture.

omfesa - manifestazione 040-2L’azienda inoltre provvide alle somme necessarie al suo mantenimento in vita, con i suoi costi di gestione ordinaria, che se pur quasi inattiva, comportava il pagamento di oneri considerevoli, considerato che, una prima formazione di base e diretta in corso di lavoro, con l’ausilio dei tecnici interni che fino a quel momento avevano avuto bassissime esperienze sulle carrozze, fu sostenuta per intero dall’azienda.

Da quando iniziammo questo percorso di risanamento, furono conseguiti i seguenti risultati:

  • Riconvertito all’80% l’azienda, che oggi nella quasi sua totalità della forza lavorativa, opera nella ristrutturazione e revisione di carrozze passeggeri;
  • Bonificata l’intera area aziendale con smaltimento di tutti i rifiuti speciali pericolosi giacenti da molti anni, per i quali ci fu un intervento della Guardia Forestale, che sanzionò l’azienda e il suo amministratore, pur se divenuto amministratore dopo l’accantonamento dei rifiuti e impossibilitato a smaltirli per carenza di liquidità.. L’azienda iniziò azione di responsabilità verso i precedenti amministratori, che è tutt’ora in corso;
  • Adeguato con nuovo impianto lo smaltimento delle acque;
  • Adeguato a seguito di verifiche dello Spesal quasi tutti gli impianti;
  • Abbiamo, a totale carico dell’azienda, formato un nucleo di circa 60 lavoratori particolarmente preparati ad effettuare qualsiasi intervento di ristrutturazione e di revisione di carrozze, con formazione diretta sul lavoro, costata migliaia di ore lavorative in più, non avendo potuto seguire i corsi di formazione finanziati dalla Regione Puglia e mai effettivamente  partiti (parte di quei lavoratori, sono andati in pensione);
  • Nella prospettiva che sarebbero iniziati tempestivamente i corsi di formazione, nel gennaio 2005, a seguito di accordi in Prefettura, furono stabilizzati a tempo indeterminato n. 41 dipendenti, precedentemente assunti (tra il 2000 e 2001), in formazione lavoro, con un maggior costo, in termini di agevolazioni contributive venute meno, di oltre 800.000,00 euro. Diversamente quei lavoratori, si sarebbero dovuti licenziare;
  • E’ stato fatto fronte fino a settembre 2012, sia pure con rateizzazione, al pagamento del  TFR di circa 108 dipendenti andati in pensione, per quasi 3.000.000,00 di euro;
  • Abbiamo sopportato le spese legali per le numerosissime cause intraprese da quasi tutti i lavoratori attivi e in particolare da quelli andati in pensione, che rivendicano gradi superiori e provvidenze non dovute, considerando tutti l’azienda, come una vacca da mungere;

E’ persistita nell’azienda una gravissima e pretestuosa conflittualità sindacale. Infatti ogni pretesto è stato buono per sollevare contestazioni, che non sono state altro che motivazioni per nascondere taluni comportamenti e problematiche esistenti:

1)      L’indice di produttività generale (e non mi riferisco a tutti i lavoratori, é stato bassissimo. Infatti a fronte di lavorazioni che nella media lavorativa dei nostri concorrenti prevedono l’impiego di 1.500/2.000 ore di mano d’opera, in Omfesa lo stesso lavoro viene svolto a seconda dei gruppi di lavoro da 3.000 a 3.500 ore, quindi con l’impiego a seconda dei casi dal 30 al 70 % di orario in più, a seconda delle lavorazioni;

2)      E’ persistito per molto tempo, un coefficiente di assenze giustificate, malattie, permessi giornalieri, permessi orari, che quotidianamente ha superato il 16/18 % e a nulla sono valse alcune denuncie presentate all’autorità giudiziaria, alla quale sono stati segnalati casi più patologici;

3)      Sono persistite le vecchie abitudini del turismo all’interno dell’azienda e delle soste caffè o dell’insofferenza verso le gerarchie aziendali;

4)      Si è continuato a far sussistere una estrema facilità nella proclamazione improvvisa di scioperi, che talvolta hanno rasentato la violazione del codice penale, col blocco di mezzi di aziende esterne;

5)      In azienda c’è stata sempre la pretesa di richiedere e di ottenere permessi giornalieri o orari senza giustificazione alcuna, con la scusa che per motivi di privacy il dipendente non e’ obbligato a dire i motivi della richiesta, con la conseguenza che giornalmente si assentano per vari motivi ;

6)      Sono state frequentissime le assenze per motivi sindacali, in alcuni periodi migliaia di ore;

7)      Si è avanzata la pretesa di poter impedire l’esternalizzazione di alcune lavorazioni che costavano circa 1/3 del costo di lavori interni, con la conseguenza che sovente si sono fatte lavorazioni in perdita;

8)      Malgrado i sacrifici economici sopportati dalla proprietà, le relazioni sindacali hanno avuto una evoluzione sempre più spiacevole, essendo passati spessissimo alle vie legali ed alle probabili querele per diffamazione, oltre all’assolutamente irrispettoso comportamento verso le gerarchie aziendali ed alle minacce nei confronti di alcuni lavoratori non allineati ai voleri ed ai pensieri delle RSU.

9)      Si sono registrate spesso minacce da parte di qualcuno dei lavoratori licenziati, sia dirette che a mezzo telefono;

10)  Spesso alcuni lavoratori hanno avuto atteggiamenti contrari alle normali norme di produttività, sapendo che in tal maniera sarebbero stati posti in CIG e così avrebbero potuto lavorare in nero presso altre aziende e a nulla sono valsi alcuni esposti dell’azienda, sia alla GDF che alla Procura della Repubblica, con i quali sono state segnalate perfino alcune situazioni particolari (abbiamo fornito alla Gdf, copia degli esposti);

11)  Si è sempre registrato un continuo spreco di materiali e attrezzature (migliaia di punte per trapano spezzate; migliaia di tute monouso strappate e gettate nei rifiuti; milioni di viti e bulloni sprecati e spessissimo buttate nella spazzatura; decine di trapani e avvitatori, bruciati ecc.);

12)  Si sono sempre registrati continui atti di sabotaggio di macchinari e attrezzature, per i quali sono state presentate più querele, senza alcun esito;

L’azienda, nel tempo, ha tentato di ridimensionare il personale, sapendo che a lungo andare, la cassa integrazione avrebbe messo in seria difficoltà l’azienda, che dal 2002, è costretta dalle pressioni delle Istituzioni, dalla politica e dai sindacati, ad accettare il mantenimento in CIG di decine di lavoratori.

ennio_de_leo-5E’ opportuno precisare, che ogni dipendente che viene mantenuto in CIG, all’azienda viene a costare  uno stipendio l’anno; contributi sullo stipendio; festività a carico dell’azienda; redazione di 14 buste paga l’anno; redazione da parte del consulente del lavoro, dei modelli mensili per la riscossione della CIG. In media, ogni lavoratore in cig, non costa meno di € 5/7 mila euro per ogni anno, a secondo la qualifica e l’anzianità di servizio. Se si considera che in alcuni periodi, come quello de 2012 (ma ve ne sono stati altri in passato), l’azienda ha avuto 70/80 lavoratori in CIG, il conto è presto fatto e si può accertare che in 10 anni, l’azienda ha sostenuto costi per CIG, per non meno di 2.500.000,00 euro.

            Va ricordato, che nel 2003, i dipendenti erano 187 e oggi invece, sono soltanto 84, compresi alcuni a tempo determinato. Questo vuol dire che l’azienda ha pagato TFR e restituzione fondo Cometa, per circa € 2.700.000,00.

            L’azienda nel tempo, ha cercato di ridimensionarsi, per non subire costi di CIG e all’uopo, ha avviato numerose procedure di mobilità per la riduzione di personale, che sono andate tutte a vuoto:

1)      Lettera del 30/6/2005 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 120 unità lavorative;

2)      Lettera del 21/10/2005 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 50 unità lavorative;

3)      Lettera del 2/10/2006 circa la necessità di avviare procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 71 unità lavorative;

4)      Lettera del 22/6/2007 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 80 unità lavorative;

5)      Lettera del 3/12/2007 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 80 unità lavorative;

6)      Lettera del 19/3/2008 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 70 unità lavorative;

7)      Lettera del 1/10/2008 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 70 unità lavorative;

8)      Lettera del 28/1/2009 circa l’attivazione in una prima fase del licenziamento di 25 unità lavorative;

9)       Lettera del 2/2/2010 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 30 unità lavorative;

10)  Lettera del 20/7/2010 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 30 unità lavorative;

11)  Lettera del 24/5/2011 per la procedura di licenziamento collettivo e collocamento in mobilità di 15 unità lavorative;

Tutte le procedure, compresa quella ordinata dall’assemblea dei soci dell’8/10/2007, sono andate a vuoto e si sono risolte con una mobilità volontaria incentivata, che non ha avuto effettivi benefici sull’azienda, ma anzi ha generato costi ulteriori, a causa del pagamento di incentivi all’esodo e successive cause con rivendicazioni da parte di quasi tutti i lavoratori, compresi quelli collocati in pensione da oltre 10 anni. L’unica procedura portata avanti dall’azienda, in un momento in cui si stava registrando un calo notevole del volume d’affari, quella del 2009, fu contrastata dai sindacati e dai lavoratori, con blocchi stradali, blocchi ferroviari, blocchi aziendali e con uno sciopero di oltre 30 giorni. La mobilità fu revocata a seguito dell’intervento e mediazione di S.E. il Prefetto, col collocamento in CIG (come al solito a carico dell’azienda) del personale eccedente. A tale mediazione, non intesero aderire (dopo che i loro sindacati avevano aderito), i lavoratori che oggi rivendicano la riassunzione, a seguito di sentenza di primo grado del giudice del lavoro, che non solo ha stabilito la riassunzione benché l’azienda avesse dimezzato il volume d’affari, ma comminato in aggiunta sanzioni per licenziamento illegittimo, per oltre 400.000,00 euro, con il pretesto di una pura formalità. Tutte queste cause, al momento sono in appello.

            L’azienda, per molti lavoratori, come anzi detto, è stata sempre considerata una vacca da mungere a piacimento, sapendo che in caso di crisi, si può contare sulla CIG, che permette di riscuotere l’80 % della retribuzione oltre gli assegni famigliari e di poter lavorare in nero presso qualche azienda metal-meccanica o nelle proprie piccole officine o di fare altri lavori (sempre in nero ) quali muratore, imbianchino, impermeabilizzazione terrazze, scavo di pozzi, piastrellista ecc.

            Il lavoro e l’impegno, sono stati sempre stati argomenti da trattare con cautela per alcuni e fortunatamente non per tutti, giacchè posso dire con certezza, che una sessantina di persone sono assolutamente affidabili e lavoratori corretti, anche se talvolta condizionati dagli altri.

            Alcuni hanno sempre tentato di mantenere altissima la tensione e la conflittualità, alimentandole con lettere anonime, con esposti anonimi a vigili del fuoco, Spesal, Aus; Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri del Noe, Gdf, che hanno prodotto verifiche e controlli serratissimi e processi a carico del sottoscritto amministratore: per immissione di fumi in atmosfera; per inquinamento delle falde; per stoccaggio e smaltimento di rifiuti speciali pericolosi; per irregolare stoccaggio di rifiuti speciali pericolosi; per irregolare  smaltimento delle acque di dilavamento dei piazzali; per mancato rispetto delle normative antincendio; da tutte queste accuse e dai consequenziali processi, il sottoscritto è stato mandato assolto perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, anche se poi l’azienda, ha dovuto pagare decine di migliaia di euro per parcelle di avvocati.

            E’ stato dimostrato al Giudice, che in questi anni, non solo si è provveduto ad ammodernare ed adeguare lo stabilimento alle normative, ma si era fatto perfino di più:

a)      Creazione di area di stoccaggio a norma, di oltre 500 mq;

b)      Sistemazione e ammodernamento degli scarichi per il dilavamento dei piazzali;

c)      Uso di vernici all’acqua, in sostituzione di quelle con solventi;

d)     Rifacimento e ampliamento degli impianti di anti incendio con l’ottenimento del certificato di prevenzione;

e)      Rifacimento e sistemazione degli scarichi per acque nere;

f)       Rifacimento e sistemazione degli scarichi per acque bianche;

g)      Ristrutturazione carrelli trasbordatori;

h)      Rimozione e sostituzione di oltre mq. 5.000 di tetti esistenti in onduline di cemento amianto;

i)        Ammodernamento e messa in funzione degli impianti di sabbiatura;

j)        Ammodernamento e manutenzione straordinaria, dell’impianto di verniciatura;

k)      Sostituzione intera, dell’impianto di aria con compressori nuovi e creazione di sito coperto;

omfesa - manifestazione 018-2L’azienda, ha sempre sofferto di crisi di liquidità. Lo testimoniano le decine di riunioni fatte in Prefettura e gli innumerevoli interventi presso Trenitalia, di SE il Prefetto, del Sottosegretario Sen. Maritati, del Sottosegretario On. Mantovano, del Ministro Fitto e le interrogazioni parlamentari fatte dagli Onorevoli Rotundo, Bellanova, Costa, Poli Bortone e le decine di riunioni a Roma, presso il Ministero del Lavoro, presso il Ministero dei Trasporti, presso la Task Force per l’occupazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Crisi di liquidità che è sempre esistita, perché Trenitalia ha sempre pagato le fatture che avrebbe dovuto  pagare a 90’ gg. fine mese, molto spesso a 180 o 210 giorni, con un costo di interessi passivi bancari annuo medio eccedente, di circa 200.000 euro l’anno. In questo momento (data del fallimento), sono scadute da molto tempo le fatture di tutte le lavorazioni effettuate fino ad ottobre 2012, per circa euro 1.500.000,00 e Trenitalia non ha inteso pagare le somme dovute, neppure con la notifica di decreti ingiuntivi. 

Quasi sempre, l’azienda ha dovuto scegliere tra non versare e quindi arretrarsi per le imposte e contributi che poi ha rateizzato e regolarmente pagato, e  pagare le retribuzioni del personale, per evitare tensioni e scioperi, con blocchi ferroviari e stradali.

Va sottolineato, che l’ulteriore aggravamento della illiquidità dell’azienda, ha iniziato a verificarsi già dall’inizio del 2011, allorquando l’azienda ha vinto tante gare, quante non ne aveva mai vinto nella sua storia.

Già da febbraio-marzo del 2011, sollecitavo il personale e le RSU, ad una maggiore dedizione al lavoro, con lo scopo di far uscire quante più carrozze possibile, per evitare di andare in asfissia finanziaria, dalla quale sarebbe stato difficile uscire, stante il particolare momento economico e la situazione del credito in Italia. Tutti i miei appelli, sono risultate parole al vento.

E’ evidente che dietro a tutto ciò, c’era una strategia che andava ormai avanti da anni, che era quella di costringere la proprietà, a rimuovere il sottoscritto rappresentante legale, per sostituirlo con qualcuno di maggior gradimento di qualche politico o sindacalista (per tale motivo, il dott. Pacchioni, fu anche convocato a Roma da qualche parlamentare  e in quella riunione gli fu avanzata questa proposta).

E’ chiaro che il disimpegno della precedente proprietà, che il sottoscritto aveva annunciato a S.E. il Prefetto già nel mese di febbraio 2012, ma che aveva già paventato alcuni anni prima, ha spiazzato qualcuno, che con l’acquisizione non voluta da parte del sottoscritto, delle quote societarie, ha visto naufragare il suo progetto.

Spesso gli amministratori si son dovuti muovere in riunioni o assemblee (vedasi l’ultima al Comune di Trepuzzi) a rischio della  incolumità fisica, ma sono sempre andati avanti, per rispetto al 70% dei lavoratori, che sono padri di famiglia che hanno quell’unico lavoro che vogliono conservare, che vogliono compiere con impegno e diligenza, e che purtroppo sono trascinati da alcuni soggetti anche con minacce, se non si accodano alle loro azioni.

Questo purtroppo è stato il clima in quell’azienda da sempre, sia ora con gli attuali amministratori, ma anche quando ad amministrare erano altri, così come si può evincere dalle lettere anonime che a più riprese sono state inviate a tutti gli organi istituzionali.

Portare avanti quell’azienda fino alla data del fallimento, che dal 2005 al 2012, ha visto crescere il suo costo del lavoro da 25 euro l’ora, a 42 euro l’ora; che dal 2009 in poi ha visto un rallentamento graduale delle attività lavorative; che ha dovuto sostenere tutti quei costi, prelevati dalle risorse aziendali, spesso al limite dell’asfissia, è stato un impegno sovrumano. Oggi il sottoscritto deve essere il capro espiatorio di tutto? Lo si provi. Se così si vuole, vuol dire che sarò costretto a pubblicare tutti i verbali sottoscritti in Prefettura; tutti i verbali e gli ordini di servizio con le oo.ss.; tutte le denuncie che l’azienda ha presentato; l’elenco delle cause in corso con i lavoratori in servizio e in quiescenza ecc. Quando sono stato sollecitato ad acquisire le quote sociali dell’azienda, mi ero recato da S.E. il prefetto, per rappresentare il fatto che la proprietà, in due assemblee dei soci, come risulta da verbali, aveva stabilito il suo disimpegno, indicando al cda, di portare i libri in Tribunale. Mi impegnai nell’acquisire le quote sociali, perché vi era una larvata trattativa per la vendita dell’azienda, che in quel momento era dotata di circa 30.000.000,00 di euro di commesse vinte, che quindi era appetibile. Indicai anche la mia volontà di dimettermi, ma mi fu chiesto di restare, per cercare di traghettare l’azienda verso la cessione a nuovi soci, con la promessa che alcune banche ci avrebbero aiutato, con un finanziamento pro quota, di complessivi euro 1.900.000,00. Effettivamente, quattro banche, entro il mese di luglio 2012 (per la verità con molto ritardo sulle attese), adottarono le delibere e rassicurarono il Prefetto sulla concessione del fido, in alcuni casi assistito da mie fidejussioni personali. Solo allora, mi determinai ad acquistare le quote sociali, i cui atti furono stipulati nel mese di luglio 2012, e in quegli stessi atti, fu ratificato dalla proprietà il mio operato (come sempre peraltro) e fu scritto che il sottoscritto tentava il salvataggio dell’azienda, che in quel momento aveva una situazione finanziaria difficile. E’ opportuno sottolineare, che da maggio/ giugno in poi, Trenitalia non ha quasi più pagato nulla, se non qualche piccola somma dopo la sollecitazione del Prefetto, fine settembre 2012. E’ stato così che la situazione si è ulteriormente aggravata, sfociata in manifestazioni plateali e denuncie nei miei confronti, fatte direttamente al sig. Procuratore della Repubblica dott. Motta, che ha dovuto aprire delle indagini.

omfesa - manifestazione 035-2Due giorni prima della riunione che si sarebbe tenuta presso la Prefettura di Lecce, per la firma del protocollo d’intesa che avrebbe consentito l’erogazione del prestito entro pochi giorni, un infausto articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, che prefigurava scenari apocalittici per l’azienda e per il sottoscritto, spinse le banche a ritirare la disponibilità, negando quindi ogni possibilità di di finanziamento. De che, fu redatto presso la Prefettura, apposito verbale che diceva chiaramente, che a seguito dell’articolo di stampa pubblicato, non sarebbe stato concesso il fido. Fino a quel momento, Trenitalia aveva mantenuto le commesse. Quando poi è stato presentata domanda di concordato, dopo qualche giorno dalla comunicazione, Trenitalia provvide a revocare tutte le commesse e a nulla è valso il ricorso ex art. 700, che fu presentato. E’ stato così che il concordato è andato in camera di consiglio, a causa delle istanze di fallimento presentate da alcuni ex lavoratori (quasi tutti iscritti alla Cgil) licenziati nel 2009, che non avevano accettato la riassunzione, per un importo di circa € 220.000 (benché qualche giorno prima il Giudice dell’esecuzione avesse stabilito che quelle somme non potevano essere al momento richieste, anche perché erano in contenzioso di appello), e di altra istanza di fallimento di un ex dirigente, che dopo aver svolto per 10 anni altra attività altrove, cessato quel suo incarico ha chiesto all’azienda di essere riassunto, facendo anch’egli atti legali, per circa € 108.000.

Per non parlare dei condizionamenti subiti dalla politica e dagli alti costi di produzione subiti, anche a causa dell’impossibilità di avere la “ Sala A “, per la de coibentazione; l’addebito di spazzatura per circa 30.000,00 euro l’anno benché non si smaltisse quasi nulla; per l’impossibilità di avere la fognatura bianca; per l’ostilità continua nei confronti del sottoscritto; la richiesta esplicita di gran parte dei lavoratori, guidati da pochi, di far pronunziare il fallimento dell’azienda, con l’intento dia avere accesso alla Cassa Integrazione per 18 mesi, per poi richiederne la proroga, per poter giungere ad un vecchio modello Harry Moda (della quale società, per la cronaca, non sono mai stato curatore e non ho mai avuto incarichi). Posso scrivere un libro, che posso pubblicare a puntate, comprese alcune conversazioni. Se mi sarà richiesto, provvederò. Devo solo osservare, che chi ha insistentemente chiesto il fallimento, ha ottenuto il risultato sperato. I licenziamenti per procedura di mobilità attuata, erano finalizzati alla riassunzione progressiva con agevolazioni in occasione dell’omologa del concordato. Il fallimento ha vanificato tutto, anche se sarà presentato in questi giorni, il reclamo contro la dichiarazione di fallimento".

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