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Omfesa, tra incontri rimandati e nuovi acquirenti. Gli operai tornano a reclamare il lavoro

Assemblea spontanea a Trepuzzi, cui hanno partecipato la vicepresidente provinciale Simona Manca e i parlamentari 5 Stelle. La richiesta: coinvolgere i ministeri per operare pressioni sulla committente Trenitalia. "Non ritiri le ventinove carrozze"

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TREPUZZI - Commesse vinte per 30 milioni di euro, congelate a causa del mancato accesso al credito bancario, e rimaste su carta. Un’azienda metalmeccanica che ha scritto un pezzo di storia del Nord Salento, fallita per un soffio. E nel progressivo silenzio generale. Maestranze specializzate finite in mobilità nel mese di febbraio 2013, ora aggrappate al sussidio statale ed all’ultima, flebile, speranza che quello stabilimento possa essere ancora rilevato.

Questa, per sommi casi, la storia delle vertenza Omfesa di Trepuzzi: fabbrica specializzata nella manutenzione e lavorazione delle carrozze passeggeri che ha costruito il suo percorso di crescita e radicamento sulla collaborazione con Trenitalia. La sua unica committente, coinvolta a più riprese nei tentativi di salvare il salvabile, ha lasciato in fabbrica 29 carrozze semi-lavorate che rappresentano l’ultimo aggancio della società di Ennio De Leo con le Ferrovie dello Stato. E che potrebbero ritornare al mittente, affinché un’altra azienda, al posto della moribonda Omfesa, completi il lavoro bruscamente interrotto.

Nel settembre 2012 infatti, immediatamente dopo la consegna delle ultime 3 commesse per il leader nazionale del trasporto ferroviario, è arrivato l’annunciato e temuto stop della produzione. Il resto è una lunga storia di proteste e mobilitazioni, impegni e dichiarazioni, che hanno fatto deragliare la vertenza su un binario morto.

Così, ad un anno di distanza, gli operai si sono dati appuntamento all’ingresso di quello stabilimento vuoto, in cui riecheggia la voce della crisi, e che pure tutti ti sanno indicare in città. L’assemblea spontanea dei lavoratori era volta a operare una pressione sui vertici politici per sollecitare la data di un cosiddetto ‘tavolo del lavoro’ presso i ministeri competenti (Lavoro e Sviluppo Economico): riprendere le fila del discorso, evaporato in poche promesse, l’obiettivo immediato. E soprattutto per spingere Trenitalia a mantenere quelle ultime carrozze lì dove sono, nel centro della fabbrica, onde evitare di far calare a picco le quotazioni dello stabilimento. Un rischio non da poco, considerata l’ultima manifestazione d’interesse di un tale imprenditore che ha riacceso il lumicino della speranza.

Sulla presunta intenzione d’acquisto si sa ancora poco o nulla. “Si tratta di un imprenditore venuto da fuori, ma già attivo nel settore ferroviario”, spiegano gli operai, ben intenzionati a non farsi sfuggire quest’opportunità. I parlamentari del movimento 5 stelle, intervenuti all’assemblea, hanno aggiunto carne al fuoco: in concomitanza con il vertice romano sulla vertenza Filanto (che si terrà nelle prossime ore), le due senatrici Barbara Lezzi e Daniela Donno, ed il deputato Diego De Lorenzis, - presenti insieme alla vicepresidente della Provincia di Lecce, Simona Manca - hanno colto l’occasione per richiamare all’ordine i rappresentanti istituzionali.

L’assessore allo Sviluppo economico, Loredana Capone, partita alla volta della Capitale, è il loro bersaglio: “La ex vicepresidente è tenuta a farci conoscere data, ora e luogo del prossimo incontro sulla vertenza Omfesa, così come da lei promesso, insieme ai vertici aziendali di Trenitalia, affinché questa fabbrica risulti ancora appetibile per i futuri acquirenti”. Sulla convocazione ministeriale sarebbe esistita addirittura una data, del tutto ufficiosa, ma nota agli operai. E superata da un pezzo. Il 30 luglio, per la precisione, giorno che sarebbe stato comunicato dalla vicepresidente Capone alla senatrice Donno tramite un sms privato.

Intanto l’assemblea, che sarebbe dovuta sfociare in un sit-in estemporaneo ai piedi della prefettura di Lecce, si è conclusa rapidamente. Aggiornata al prossimo, immediato incontro con i sindacati. Deragliata forse anch’essa, nel malumore e nella rassegnazione. Ma quale fattore, tra gli altri, ha provocato la chiusura dei battenti? Un ingegnere di Omfesa, Evaldo Durante, più che alle responsabilità personali, guarda alla fredda logica dei numeri: “La mancanza di investimenti adeguati ed una crisi di liquidità sono le principali imputate – spiega -. C’era un tempo in cui Trenitalia pagava anche medianti acconto. Ora tra approvvigionamento, lavoro, consegna e saldo finale può trascorrere un periodo lunghissimo, anche di un anno, in cui l’azienda on incassa un soldo. E i fornitori di sicuro non aspettano”.

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