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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica Otranto

Venticinque anni dopo, Otranto ricorda il sindaco delle trasformazioni

Ieri il simbolico anniversario della tragica scomparsa del sindaco democristiano, Martire Schito. A lui si devono importanti intuizioni, che hanno permesso lo sviluppo economico e la valorizzazione turistica della città

OTRANTO - L’aria gelida che spira sul porto, in questo marzo otrantino di lungo inverno, fa da cornice al quel senso un po’ nostalgico di chi cerca una prospettiva preferenziale per leggere il passato. Sono trascorsi già 25 anni dalla scomparsa di Martire Schito, da quel fatale 12 marzo, e il silenzio che avvolge la memoria sembra quasi contrastare col peso di una figura, che ha segnato il passo della storia recente di una comunità.

Esponente simbolo della Democrazia Cristiana locale, ancorato a quella idea di cattolicesimo impegnato da applicare alla politica, coprì la carica di sindaco dal 1961 al 1975, diventando successivamente membro del consiglio provinciale e rivestendo per un lasso di tempo breve anche la funzione di presidente reggente in sostituzione di Tonino Blasi, venuto a mancare prematuramente.

Chi lo ha vissuto, lo ricorda come equilibrato e passionale, metodico e pragmatico. E democratico, nel senso più profondo del termine. Tra le giovani generazioni, che, invece, non hanno avuto la fortuna di conoscerlo, il suo nome sembra quasi evocare un’altra epoca, forse difficile da immaginare nel cambiamento stesso che ha vissuto la politica e nel confronto con modelli odierni molto distanti non solo dal punto di vista temporale. Certamente, al di là delle dure contrapposizioni passate, il giudizio di oggi è unanime nel riconoscere al sindaco democristiano una speciale “lungimiranza”, in grado di permettere ad Otranto negli anni Settanta di iniziare il percorso di crescita economica, scoprendo la “vocazione turistica” del territorio.

Si devono a lui, infatti, la scommessa del Comprensorio Alimini, pur nella mediazione tra l’esigenza dello sviluppo e quella della tutela ambientale, dentro luoghi “colti” ed “intuiti” chiaramente come “risorsa” e “ricchezza”. Fu il primo a sognare l’idea di un porto turistico, impegnandosi a promuovere un progetto che lo potesse concretizzare. Lavorò alla dotazione di un piano regolatore, votato alla programmazione attenta di ogni aspetto della vita comunitaria.

Per questo, lo hanno ribattezzato il “sindaco delle trasformazioni”. Conservatore di formazione, ma riformista nell’anima. Probabilmente, la sua forza è stata proprio nel modello che ha saputo proporre nella lunga responsabilità alla guida di Otranto. Di certo, era un uomo preparato, uscito dalla scuola umanamente formativa del seminario (come sottolineato dallo stesso Martire Schito in un intervento pubblico, ripescato e parzialmente riportato in un testo del 2008 da monsignor Paolo Ricciardi), e, allo stesso tempo, forte di una cultura politica, che accompagnava nell’approccio al mondo dell’amministrazione.

La sua prematura e tragica scomparsa ha sottratto alla città una personalità emblematica e capace di leggere i cambiamenti, prima degli altri, senza sottrarsi al compito di tradurre le idee in decisioni concrete. La sua eredità resta intatta, anche un quarto di secolo dopo la sua fine terrena. Anche dentro un’Otranto in cui la memoria sembra non voler far rumore.

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