rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
social

Danza, questione di anima. Serena D’Amato, il coraggio di ballare da sola

La ballerina di pizzica, tra le più amate, si confessa: “Quando ho lasciato i Tamburellisti ho provato un grande senso di vuoto”

LECCE - Le bastano i piedi nudi e il sorriso per rapire il mondo. “Pizzicando” l’asfalto, è capace di innescare una miccia di passione infuocando platee non solo locali. Lei è Serena D’Amato, originaria di Ruffano, ha 35 anni, ed è la ballerina di pizzica pizzica, tra le più amate d’Italia. Ha iniziato a muovere i “primi passi” a 16 anni e di chilometri ne ha macinati davvero tanti.

Le sue ultime apparizioni sul piccolo schermo, in Francia, dove è stata scelta per fare da cicerone a Lecce dall’emittente tv France 5  per la trasmissione “Echapées Belles” e, un mese fa, in Germania, sul primo canale ARD Mediathek, per il programma Verrückt nach Meer.

La nostra danza, grazie a lei, è arrivata ovunque, anche sul grande schermo, nel film “Non ti voltare” di Marina De Van, dove Serena si esibisce con Monica Bellucci.

Mentre prendo una tazza di caffè con lei, che è una vecchia amica, anche io “pizzico” i tasti del pc, rincorrendo la sua lunga storia segnata, alla fine del 2017, da una scelta radicale, quella di lasciare dopo 17 anni il gruppo “I tamburellisti di Torrepaduli” per seguire un percorso autonomo, insieme alla decisione di tornare tra i banchi di “scuola”.

“Ho iniziato per gioco. Ero una ragazzina e non avevo certo le idee chiare sul futuro.  Una sera, mi ritrovai a ballare nella ronda dei Tamburellisti, e uno di loro, Salvatore Crudo, si complimentò con me, ma mi  imbarazzai e andai via. Poi lo rincontrai per caso in paese e, in quell’occasione, mi propose di ballare per il gruppo”.

E nel gruppo, ci sei stata per quasi vent’anni. Poi la decisione di lasciarlo. Perché?

“Perché era diventato più forte il bisogno di “muovermi” da sola o comunque di decidere autonomamente quando e se farlo. Era venuta meno la tranquillità a causa delle continue trasferte. Così, temevo di perdere una delle mie più grandi passioni e di portare in scena la mia malinconia”.

E’ stata una scelta dura?

“Certo. All’inizio anche il solo pensiero di staccarmi dai miei colleghi mi terrorizzava. Ci ho impiegato un anno a maturare la decisione, e quando l’ho presa, mi sentivo smarrita, provavo un grande vuoto: dovevo badare a me stessa senza “sostegni”, e soprattutto dovevo ritrovare un’identità, perché la mia, fino ad allora, era sempre stata associata al gruppo”.

Hai rimpianti?

Foto Guido Scopece-2“Non ho rimpianti, ho tanti ricordi belli e brutti che comunque hanno contribuito alla mia crescita artistica. I tamburellisti sono stati per me come una famiglia con la quale sono nata e cresciuta dal punto di vista professionale”.

Nello stesso periodo in cui lasci i Tamburellisti, prendi anche un’altra scelta importante, quella di iscriverti al corso di laurea Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo), presso la Facoltà di Lettere, Filosofia, Lingua e Beni Culturali dell’Università del Salento.

“Volevo unire le mie conoscenze pratiche a quelle teoriche che fino a quel momento, tra tournèe, viaggi e palchi non avevo potuto approfondire. Insomma, ho sentito l’esigenza di completarmi”.

Sei anche insegnante dal 2004.

“Sembrerà assurdo, ma il mio primo corso,  l’ho tenuto a Prato, in Toscana, quando da noi l’insegnamento della Pizzica non era così tanto richiesto. Ricordo ancora l’ansia e l’emozione durante il viaggio in treno, a programmare meticolosamente la lezione che avrei dovuto tenere. Credo che l’insegnamento sia un atto di generosità, sia donare parte di se stessi agli altri. La soddisfazione che mi da questo è impagabile”.

Non temi la concorrenza delle giovani leve?

“La concorrenza leale non mi preoccupa. La clonazione la trovo inutile”.

Quanto ti spaventa la vecchiaia?

Foto Antonio Caporale-2“Mi spaventa tanto. Ma penso pure che esistono delle vie d’uscita (sorride, ndr). Quando arriverà, continuerò a insegnare, a trasmettere comunque la mia passione. Penso pure che con l’avanzare dell’età uno faccia i conti con quello che ha fatto. E i riconoscimenti avuti in questi anni mi rendono felice. Sono soddisfatta di aver iniziato questo percorso, in modo semplice, quando ancora non c’erano neppure le telecamere e i vari social, spinta solo dall’amore per la danza che da sempre ho trovato catartica, purificatrice, tra tradizione, sperimentazione e ricerca, e di aver avuto la fortuna di conoscere e lavorare con persone che hanno fatto la storia come Uccio Aloisi, Pino Zimba e Gianni De Santis”.

Quanti pregiudizi esistono, se esistono, per chi come te decide di intraprendere la professione di ballerina di pizzica?

“Non penso ci siano pregiudizi. Per quanto riguarda la mia esperienza, posso solo dire di non aver scelto questa professione. E’ stato il corso naturale degli eventi che mi ha portata a farlo diventare il mio mestiere. Dall’incontro con Michele Sciarillo, per esempio, che mi propose il mio primo corso di pizzica in Toscana, sono poi arrivata a insegnare in tutta Italia, oltre che nel Salento, e anche all’estero. La motivazione più profonda rimane sempre quella di voler trasmettere questo ballo tradizionale, che negli anni si è trasformato tanto, e di tutelarlo da ogni banalizzazione”.

Quale consiglio daresti a una bambina che da grande sogna di diventare Serena D’Amato?

“Di non ballare per vanità e per mero esibizionismo, ma perché senza non potresti farne a meno. Perché la pizzica è una danza dell’anima”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Danza, questione di anima. Serena D’Amato, il coraggio di ballare da sola

LeccePrima è in caricamento