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Giovedì, 18 Aprile 2024
Speciale Centro / Via 95esimo Reggimento Fanteria

La città che nessuno vuole vedere, dove anche l'ingiusto diventa normalità

In un angolo di via 95esimo Reggimento Fanteria da sempre dorme discretamente un uomo, avvolto da una coperta. Nell'indifferenza generale, una città che corre via veloce, in un angolo notturno in cui ogni cosa assume una fisionomia diversa

LECCE – A volte cammino di notte per le vie della mia città. Ammiro le ombre allungarsi e frastagliarsi sotto la luce innaturale dei lampioni e ascolto l’eco del mio passo fra i palazzi di semiperiferia.

Un silenzio sporco.

C’è una Lecce che vive sospesa in un’aura fra semilegalità e disperazione, quasi occulta. Imbarazzata, imbarazzante, orrenda e dignitosa. Le circostanze fanno i singoli casi. I singoli casi, sono tasselli che ricompongo il mosaico. 

E’ un mondo a sé.

Un’auto vira ad “U” davanti a paletti e panettoni della sottovia di via del Mare. Dietro al cristallo del parabrezza scorgo due occhi indefinibili. Se è vero che sono lo specchio dell’anima, li ritrovo a metà strada fra lo spento, l’arrabbiato e il furbo. Sembrano lanciare una sfida: “Tanto chi cazzo mi ferma”.

Due secondi dopo ne arriva un’altra, sul lato esterno. Arranca di prima, il motore soffre. “Cambia marcia, dai”, spero in cuor mio. Vira a destra sua viale della Libertà, sussultando. I pistoni bestemmiano.

Un attimo ed ho già svoltato l’angolo. Il mio amico F. mi aspetta in sella a una bicicletta. I lampioni d’un giallo freddo disegnano contorni nero pece. Lui pedala lento. Io lo seguo a piedi. Ci raccontiamo storie. Una volante di polizia interseca il nostro cammino e sparisce, confusa nel nulla del “dopo l’ora”. Svolta non so dove. Proseguiamo.

Il centro storico, dopo l’una di un martedì qualunque, è un mondo dimesso. Ambiguità. Mi rendo conto di quanto il sole renda calda la pietra burrosa sotto la quale è scolpito l’arzigogolo barocco. Senza il conforto della stella, tutto si perde in un confuso vortice di pietra non antica, ma vecchia. Quanto basta a qualcuno per trovare un angolo accanto a un cantiere mezzo nascosto del Castello di Carlo V e farci una pisciata.

Alle spalle, le statue della Fontana dell’Armonia sembrano tenersi abbracciate per rimanere sospese e alla larga dalla vasca colma d’acqua stantia.

Schiamazzi su viale Marconi. Qualcuno è ubriaco e vuole renderne partecipe il mondo. Le sagome di due ragazze tagliano la via senza mai guardarsi indietro.

Io ed F. troviamo un locale aperto. Ne buttiamo giù un paio e continuiamo a raccontarci storie. E’ sempre il futuro che preoccupa, e forse è un bene, perché son pensieri che mantengono sul chi va là un paio di quarantenni senza sonno.

Meglio sempre averne, di pensieri. Ti fanno stare vivo.

Affoghiamo paure e speranze in un cicchetto e andiamo via, mentre le insegne si spengono e anche uno degli ultimi avamposti di una “movida” immobile rimanda il pubblico al giorno che verrà.

E’ tardi. F. fugge via sulla sua bici.

I miei passi del ritorno sono svogliati. In piazza Libertini osservo furgoni bianchi carichi di merce invenduta e il palazzo delle poste, enorme, che offre la sua prospettiva alla macchina fotografica. Scatto notturno, sempre utile, e avanti verso casa.

Sotto un colonnato in via 95esimo Reggimento Fanteria, però, l’occhio viene attratto come una calamita verso l’angolo. Accanto a un portone, un logoro plaid. Sotto, un uomo.

Dorme.

lecce (9)-2Un segnale elettrico neurale scuote la mente. L’avevo già notato qualche settimana prima.

E’ immobile.

Cosa sognerà?

Non si accorge nemmeno che, alle spalle dell’ultima colonna, un flash lo illumina un istante la via a giorno.

Nel tragitto verso casa osservo le luci dei magazzini stagliarsi fra alberi e pietre della perennemente statica e ristagnante sorgente di piazza Mazzini. I manichini, testimoni asettici di pensieri che corrono.

Alle soglie del portone di casa sfreccia un veicolo carico di urla giovani e selvagge che muove verso il mare. L’effetto doppler del motore ronza nelle orecchie.

Di nuovo silenzio, e la mente che torna a quell’uomo eternamente avvolto nel plaid.

Come può essermi passata davanti quella figura, la prima volta, generando un effetto così blando?

La routine che ci oscura la vista. Ed è così che diventa normale anche l’ingiusto. 

La chiave gira nella toppa. Mi sono rifugiato dal mondo, ma non basta. Non fugge via l’idea che in questo disegno vi sia di mezzo una mia vigliacca complicità.

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