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"Milano senza controlli. Un leccese con tre zingari"

La grande città, con tutti suoi pericoli. I terribili fatti di cronaca di questi giorni mettono a nudo le pecche del sistema. Un leccese a Milano, nostro lettore, racconta una sua ricente disavventura

La grande città, con tutti suoi pericoli nascosti. I terribili fatti di cronaca di questi giorni, avvenuti a Roma, hanno messo a nudo doverse pecche del sistema, e questo comuque la si voglia vedere, se da destra o da sinistra. Un leccese a Milano, nostro lettore, racconta una sua ricente disavventura. "Inseguito da tre zingari dopo una giornata di lavoro. Ero solo, stanco. Non passava una pattuglia. E' finita che li ho inseguiti io".

di Giuseppe Ariano

Comincio a credere alla paranoia. Sì, alla paura! Al fenomeno "terrore", alla psicosi. Beppe Grillo l'ha urlato dal palco di Bologna, in una piazza gremita. Ed ha detto che il commercio si fonda proprio sulla paura. Chi ce l'ha il tempo di leggere Lecceprima.it? Basta vivere a Milano, avere un lavoro (se no, come campi?...). E tutto t'assorbe. Anche la vita privata ti sembra lavoro. Beh, no. Calma. Arriva San Martino e ci si organizza tra amici salentini, per onorare degnamente la tradizione. Anche a mille chilometri di distanza.

LeccePrima si stampa. Nel senso, trasformo le pagine web in cartaceo e in metro, tram o autobus (che sia) sprofondo (sempre in piedi ed in una calca di gente) in quello che è il mio quotidiano. Pardon, l'informazione fresca dalla mia terra, ed aggiornata. Ecco la paura: quella di finirci sopra! Sulle pagine che ho in mano. Dove oggi vi racconto quanto è accaduto una sera, a Milano.

Faccio una piccola premessa. Milano è difficile per me, come per tanti che conosco. E' una realtà, quella di una metropoli, che è mutata. Nell'arco di qualche anno. Lo dico io. Lo dicono i miei amici. Me lo confermano le persone milanesi che conosco. E meglio di loro chi la conosce questa città!? La giornata di lavoro termina. Faccio ritorno a casa. Non ho orari fissi. Quando ho fatto quello che devo fare, saluto e vado casa. In giro, per strada, le stesse cose che si vedono ogni giorno. Traffico. Caos. Fretta. Ma occhi sempre ben aperti. Me lo ha insegnato la vita. Me lo hanno insegnato le esperienze. Insomma, essere svegli non è una colpa. Semmai, può ritornare solo utile.

Sono circa le 19,30. Sono a 200 metri dalla casa che divido insieme ad altre quattro persone. Tutto normale. Stazione della metro, tram e bus. Quello che uno può immaginare di una piazza meneghina. Prelevo ad un postamat. E' un po' buio. Ma spesso me ne curo poco. Ritiro lo scontrino e vado verso casa. Di fronte a me, in tre camminano, "ciondolando". Li incrocio. Anche con lo sguardo. Sono zingari. Faccio trenta passi. Mi volto e c'azzecco: m'hanno guardato, tutti e tre. E cosa avranno adocchiato? La mia borsa. Contiene documenti del lavoro, anche se l'involucro lascia credere che ci sia dentro un pc. Un pensiero mi attraversa la mente per un attimo e rompe un po' quella che è la mia freddezza solita. Insomma, sono uno che si emoziona, ma non per tre zingari. Fortuna che con la psicosi nessuno potrà mai guadagnarci un centesimo con me!

Però, combinazione, in quel momento: ho prelevato venti euro (ma i tre non m'hanno visto), guarda caso ho assegni e contanti di un paio di clienti che m'hanno saldato e che domattina dovrò andare a depositare sul conto della società e quelli là dietro di me, probabilmente, pensano che nella borsa c'ho un computer portatile. Un mio carissimo amico mi disse che con gli zingari suo padre con una stretta di mano li metteva in riga e faceva loro temere il peggio. Insomma, non per razzismo né per intolleranza, ma quando è troppo è troppo. Ed intorno non gazzelle o pantere su quattro ruote a vigilare.

Comunque sia, hanno invertito la marcia. Dallo sfregare dei loro vestiti tra le loro gambe capisco che hanno alzato il passo. Come al solito non una volante in giro nella zona. A trovarla ce ne vuole e nemmeno se li chiami arrivano. Numero di unità dimezzate e benzina razionata. E' noto oramai. Mi preparo nel caso in cui avessero da chiedermi da accendere. Cerco un accendino e ripongo le chiavi di casa ed il cellulare al sicuro nella tasca del giubbino, assicurando la borsa trasversalmente al mio corpo. Da una spalla al fianco opposto a questa. Al semaforo della circonvallazione sono riusciti ad affiancarmi. Le auto sfrecciano a velocità impensabili per una città, ma creando confusione ed occludendo loro probabili vie di fuga li fanno desistere dal chiedere da accendere per poi scappare via. Insomma, verde. Ed io ho smesso di fumare.

Passiamo insieme in quattro. Li guardo male perché loro fanno lo stesso con me. Mi hanno superato. Due di loro sembrano fratelli. E più affiatati. Si borbottano qualcosa chiusi tra le loro spalle che si toccano e suggeriscono al terzo, nella loro lingua, di restare dietro. Dietro di me. No, non parlo slavo o lituano. L'ho solo intuito. Il terzo , dunque, si stacca e si ferma su una vetrina di un negozio di scarpe. Sta a vedere che mi chiederà se guadagno abbastanza da potermi permettere quelle che piacciono a lui. Adesso c'è troppa luce. I due che si sono staccati vanno avanti. E più avanti c'è piazza Velasquez, con una statua di Padre Pio ed un onnipresente assembramento di alcolizzati di Tavernello, tra italiani e stranieri, sulle panchine in fondo a destra. Nella piazza tutto molto più buio.

Io, mi giro di scatto e vado incontro al terzo che è rimasto dietro di me. Questo cosa fa? Si toglie dalla traiettoria, evitando anche di incrociare il mio sguardo. Io proseguo, ignorandolo. Mi volto e lui sta cercando di capire se lo sto facendo di proposito. Glielo faccio capire: mi sono fermato, infatti. A guardarlo. Inverto la marcia per la seconda volta e gliela vado a spiegare. Anche lui non scherza. E' intelligente, brillante ed attento. Io sono a 100 metri da casa, per cui decido che la cintura ai pantaloni che indosso posso cominciare a sfilarla dai passanti. Arrivato a casa metterò vestiti più comodi. Pattuglie delle forze dell'ordine, intanto? Nemmeno per sbaglio che ne passi.

In verità, spesso accade che ce ne sia più d'una. Ma solo perché qualcuno le ha chiamate con insistenza. E come dar loro torto, se non è urgente non vengono. Sono pochi, con pochi mezzi e devono camminare a venti all'ora per consumare poco e risparmiarsi sulle accelerate. Fosse uno stato più garantista forse loro sarebbero più presenti.

Morale, vado incontro al terzo zingaro, che inaspettatamente si sente braccato, da un ragazzo di 35 anni, stanco dopo una giornata di lavoro, in una città che non è la sua e che non vede l'ora di indossare un pigiama, e che dopo una frisa ed un bicchiere di vino di certo non ha voglia di raccontare d'aver avuto a che fare con uno zingaro che poteva evitare di mettersi a seguire uno come me che ne ha le scatole piene di lui, dei suoi amici e di tante cose che si vedono in giro e che proprio non vanno bene.

Questa sera mi recherò presso il comando dei carabinieri di zona. O presso una stazione di polizia. Probabilmente in via Novara. E descriverò quanto vi ho raccontato a chi mi troverò davanti, sperando che, anche se non vi è stato reato alcuno, la mia segnalazione possa ritornare utile ad indicare a chi di dovere chi con questa città, Milano, ha meno a che fare di quanto ne abbia io.

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