"Un tratto compromesso. Quali le ragioni del cemento?"

di Federica Villani Lubelli

Dopo ben undici anni dall'avvio dei lavori (se ricordo bene era il lontano 1997) che hanno compromesso, irreversibilmente, uno dei tratti più belli della costa salentina, arriva la sentenza di assoluzione in appello che ribalta, completamente, la sentenza di condanna di primo grado. Scrivo queste poche righe per esprimere, con forza, tutta la mia indignazione di cittadina nei riguardi di una vicenda che simboleggia il degrado culturale e sociale di questa epoca dominata dall'utilitarismo e dalla mercificazione. Vorrei precisare di non avere alcuna intenzione di entrare nel merito della vicenda processuale anche perché, tra l'altro, la motivazione della sentenza verrà resa nota solo fra tre mesi.

Non resta, quindi, che aspettare i noti tempi lunghi della giustizia italiana per conoscere le ragioni che hanno indotto i giudici ad emettere la sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" e, quindi, con formula assolutoria piena. Il "fatto", ossia la violazione della legge penale, potrebbe, da un punto di vista giuridico, anche non sussistere per una serie di ragioni. Tutto in regola quindi; peccato che "il fatto" sussista, eccome, da un punto di vista "reale" ed è talmente evidente nella sua "mostruosità" che, ormai, tutte le cartoline comprate dai nostri turisti riprendono il panorama di Porto Miggiano dal lato della scogliera rimasto inviolato. Si tratta, dunque, dell'ennesima colata di cemento "legalizzata" che sacrifica, ancora una volta, il diritto inviolabile all'ambiente (art. 9 Cost.) e, quindi, l'armonia, l'integrità e la bellezza di un rilevante "bene comune" come il territorio, sull'altare degli interessi economici dell'impresa privata.