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L’onta della doppia retrocessione: 2012, l’odissea del calcio leccese

Si chiude l'anno nero della storia del calcio leccese: condannato sul campo e a tavolino ad un salto all'indietro senza precedenti. Il passaggio di proprietà schiude una nuova era, ma la sfida è tutta da giocare. Le foto più belle

LECCE – Il 2012 è stato l’annus horribilis del calcio leccese e poco c’entra la presunta profezia dei Maya. Una retrocessione sul campo, sofferta almeno quanto la rabbia di Serse Cosmi, sfortunata e seguita da un’umiliante sanzione a tavolino per le note vicende legate al derby del maggio 2011 al San Nicola. Risultato, un doppio salto mortale all’indietro, con avvitamento, che non si è concluso con uno schianto letale al suolo soprattutto grazie all’intervento della famiglia Tesoro che ha rilevato il club dopo una trattativa estenuante con Giovanni Semeraro e avviato una faticosa opera di riorganizzazione mentre si attendeva, sotto la canicola estiva, la mannaia della giustizia sportiva.

Nella seconda parte dell’anno, sul palcoscenico della Prima divisione della Lega Pro, il Lecce – con in panchina Franco Lerda - ha esordito col botto, collezionando una sfilza di vittorie che hanno fatto pensare ai più che la promozione in B fosse solo una questione di tempo, quello che separa l’inizio dalla fine del torneo. E, invece, nei rivoli di una provincia calcistica ruvida e insidiosa, i giallorossi hanno rimediato un paio di pesanti brutte figure – storica quella di Lumezzane -, con conseguente crisi di smarrimento e sintomi di isteria collettiva sintetizzabili in una messe di cartellini rossi e di dichiarazioni sopra le righe.

Insomma, i dodici mesi appena trascorsi, hanno messo a dura prova la resistenza psico-fisica dei tifosi che, però, bisogna dirlo, hanno tenuto botta, e non c’è espressione migliore. I dati sulle presenze al Via del Mare confermano che, in fondo, lo zoccolo duro non ha ceduto e che la passione, quella vera, non è un discorso di categoria. Anzi, lo spettacolo di un pubblico esultante perché grato alla squadra di Serse Cosmi mentre sul campo si consumava la condanna alla cadetteria, resterà impresso nella memoria di chi lo ha vissuto.

E da lì che bisogna ripartire, da quella connessione spirituale con i propri colori che fa di Lecce una terra, (anche) calcisticamente parlando, povera di denari ma ricca di passione e dove un progetto sano, senza fronzoli e calibrato sulle risorse disponibili, può attecchire e dare soddisfazioni. E’ questa la responsabilità più pesante che si sono assunti, magari involontariamente, Savino e Antonio Tesoro: trasformare un patrimonio che di fatto è collettivo nel fiore all’occhiello, come in certe annate è pur stato, di un territorio intero. La gratitudine della gente conta di più di un margine di profitto ed il rispetto è un capitale più solido di qualsiasi risultato.

Del resto, Lecce lo ha dimostrato più volte: nemmeno davanti ai momenti più esaltanti della lunga era Semeraro – forse con l’eccezione della prima salvezza targata Delio Rossi - c’è stata quell’empatia piena di angoscia, quell’unità di intenti, quella consapevolezza di remare tutti nella stessa direzione che si è realizzata nel girone di ritorno dello scorso anno. Rendere regola quell’eccezione è la sfida più ambiziosa che ci si possa porre.

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