Analisi di una stagione incredibile: la sorpresa, la paura, la rabbia e la gioia
Una squadra allestita nello scetticismo generale, ma con un Samuel Umtiti che ha fatto la differenza. Il girone di andata oltre le aspettative, poi la pendenza del campionato è diventata terribile, ma il progetto tecnico e la compattezza del gruppo hanno tenuto: una salvezza che è un'impresa
LECCE - Anche la prossima stagione il Lecce disputerà il campionato di serie A. Un risultato, quello centrato oggi dalla squadra giallorossa, che restituisce la giusta dimensione al percorso fatto da agosto fino al calcio di rigore realizzato da Colombo che è valso l’1 a 0 in casa del Monza.
Gli ultimi tre mesi sono stati molto complicati: di partita in partita il Lecce sembrava aver smarrito molte di quelle certezze che nella prima parte del torneo aveva faticosamente acquisito. Così il vantaggio sulla terzultima posizione si è assottigliato sempre di più e i diversi passaggi a vuoto – soprattutto il pareggio interno contro una Sampdoria quasi allo sbando e la sconfitta con il Verona, diretta e ostinata concorrente – avevano dato la stura a malumori e contestazioni.
Tra i più bersagliati da un diffuso e crescente sentimento di frustrazione davanti alla consapevolezza di una classifica che diventava sempre meno rassicurante, Lorenzo Colombo. Proprio lui, il giovane attaccante che nell’ultimo secondo di una partita pesantissima si è assunto la responsabilità di calciare dal dischetto, dimostrando grande solidità mentale. Molti altri, alla sua età, sarebbero potuti crollare e avrebbero potuto delegare compagni più maturi: in quel momento, in campo, c’erano Umtiti e Di Francesco, per esempio, quelli con la maggiore esperienza di un certo tipo di calcio.
Ecco allora che c’è anche un senso di giustizia che ha trovato compimento: sul piano individuale, sicuramente, perché Colombo non meritava il sapore cattivo di certe critiche che hanno finito per assumere i contorni di una specie di linciaggio; sul piano collettivo, non secondariamente: perché questa squadra la salvezza l’ha meritata, superando i propri limiti, rimanendo compatta nel periodo più complicato, aggrappata a uno spirito di gruppo che Baroni e il suo staff hanno innaffiato quotidianamente, lontano dai clamori e dai commenti. Di certo il Lecce ha sempre cercato di mostrare le sue idee di gioco, poche ma molto chiare, sbattendo anche contro una difficoltà strutturale a rendersi pericoloso al cospetto di squadre aggressive, quelle che non lasciano giocare.
Costruito da Corvino e Trinchera con le risorse che un club neo promosso e in fase di consolidamento finanziario può consentirsi, l’organico ha preso la forma che l’allenatore voleva dargli: alla fine del girone di andata, e ancora per qualche turno, il risultato è andato ben oltre le aspettative regalando alla classifica del Lecce quel margine che poi, paradossalmente, si è rivelato quasi un’arma a doppio taglio perché più di qualcuno, in quel frangente, ha perso la testa iniziando a fare con la testa voli pindarici. E a quel punto Baroni ha iniziato a mandare segnali, con qualche accenno nelle sue dichiarazioni: quasi a tutti è sfuggito il senso di quelle parole.
Complice una sessione invernale di mercato dal bilancio deludente, quella che era una strada in discesa ha cambiato inclinazione arrivando a pendenze che a un certo punto sono apparse proibitive. Restano tutte le perplessità – non interessa, a chi scrive, salire sul carro dei vincitori, già molto affollato – sul mancato arrivo di una punta (in prestito, con diritto di riscatto, con qualche altra formula che preservasse i conti), sull’ostinazione tattica nel non voler mai mutare veramente assetto, rinunciando a schierare due attaccanti anche nei dieci minuti finali della partita. I risultati però hanno dato ragione a chi ha tenuto duro: il cuore del progetto tecnico è rimasto in piedi e sulla propria identità di difesa e ripartenza il Lecce ha costruito i risultati più significativi di questo finale di stagione, il 2 a 2 in casa della Lazio, con una vittoria sfumata nel recupero, e il successo, sofferto e anche inatteso, di oggi che ha chiuso i giochi.
Alla fine dei conti anche il pareggio interno con lo Spezia, metabolizzato dai più come un passo falso, ha dimostrato la sua utilità. Perché gli avversari del Lecce in questa corsa verso la salvezza non è che se la stessero passando molto meglio, tanto è vero che il Verona – per esempio - ha perso in casa col Torino e pareggiato, oggi, contro un Empoli che ha onorato fino in fondo il suo bel campionato.
Va ricordato che la stagione è iniziata con Blin schierato come difensore centrale, con un ragazzo, Gonzalez, che non aveva mai giocato un minuto da professionista, con un centravanti africano arrivato dalla Svizzera che non ha mai smesso di scivolare più volte nel corso della partita, ma senza mai tirare la gamba indietro. E che è finito con Oudin, preso come esterno offensivo, che è stato adattato nel ruolo di interno incursore, essendo l’unico ad avere determinate caratteristiche che al Lecce oggettivamente sono sempre mancate. Insieme a loro una folta schiera di altri giocatori quasi tutti debuttanti nella massima categoria, con un campione ritrovato (ma non senza una certa attesa) come Samuel Umtiti senza il quale il Lecce non sarebbe arrivato al traguardo. Con Pongracic, peraltro, avrebbe potuto costituire una delle coppie di centrali più tecniche e preparate del campionato, ma l’infortunio del croato è stato un contrattempo non da poco nell’economia di un campionato in cui, soprattutto nello sprint finale, servono panchine lunghe e affidabili.
Tutto questo, e molto altro, va tenuto presente nel fare, il più lucidamente possibile, un’analisi della stagione del Lecce. Non ci sono eroi né martiri, non ci sono verità rivelate e dogmi inattaccabili: c’è la serietà di un gruppo al quale è stata affidata una responsabilità enorme e che quell’onere lo ha saputo sopportare, anche quando il vento spirava forte in direzione contraria.
La salvezza del Lecce certifica anche la grandezza della sfida che il club ha lanciato con una programmazione che, a fronte delle spese incontrollate di tante altre società, è diventata visionarietà, azzardo, forse incoscienza, ma come ha detto pochi giorni addietro il presidente, Saverio Sticchi Damiani, “è l’unico modo in cui possiamo fare calcio”. È andata bene e i meriti di tutta la catena di comando, come dello staff tecnico, sono indiscutibili: i “se” e i “ma” devono arrendersi all’evidenza dell’obiettivo centrato.
Per la prossima stagione il Lecce potrà giovarsi di un budget migliore, proprio grazie all’impresa portata a termine. Nulla che autorizzi esercizi di fantasia sfrenata, ma un passo in avanti in un progetto di consolidamento che non è solo quello del club, ma di un intero territorio. Di ciò che è accaduto quest’anno, e anche degli errori, bisogna fare tesoro senza cedere alla tentazione di dividere il campo tra guelfi e ghibellini. E così che si cresce e a questo sforzo, tutti, nessuno escluso, sono chiamati.