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La verità di Peppino Palaia: “Lascio il Lecce, ma non certo per soldi”

L'ex medico sociale ha spiegato le ragioni dell'addio: mancanza di entusiasmo e consapevolezza di non aver più un ruolo decisivo nella riabilitazione degli infortunati: "Ho lavorato quasi gratis per 36 anni, avevo accettato anche il rimborso spese"

SQUINZANO – Né il ritorno in giallorosso di Francesco Moriero, né l’arrivo di Fabrizio Miccoli potrebbero convincere l’ex medico sociale del Lecce, Giuseppe Palaia, a fare marcia indietro dopo la decisione di interrompere la sua collaborazione ultratrentennale con il club salentino. E’ venuto meno l’entusiasmo, e poco ci si può fare e questa presa d’atto ha prevalso su ogni possibile ripensamento: “I mie globuli restano giallorossi, ma non credo che tornerò allo stadio. Per come sono fatto, non accetterei di passare dalla panchina agli spalti”.

In una conferenza stampa presso il centro di medicina sportiva che dirige a Squinzano, Palaia ha voluto spiegare personalmente le ragioni della sua scelta, precisando che l’aspetto economico è stato ininfluente. Avrebbe anche accettato, ha detto, di continuare con un rimborso spese da mille euro: “Ho lavorato 36 anni gratis per il Lecce - ha sottolineato - perché quello che mi rimaneva in tasca lo impiegavo per il carburante per andare agli allenamenti”.

Molto più determinante è stata la consapevolezza di non poter più lavorare con i suoi collaboratori più fidati – il massaggiatore Donato, il fisioterapista Laudisa, il preparatore De Luca – e di non poter essere il responsabile unico della riabilitazione fisica dei calciatori: nel nuovo staff tecnico, infatti, è prevista anche una figura – quella di Oscar Piergallini - che si dedicherà esclusivamente al recupero degli infortunati. In pratica, quello che più piaceva fare a Palaia.

Non a caso Palaia ha anche ricordato il feeling con il tecnico Gigi De Canio, che lo volle referente non solo dell’area medica ma anche della preparazione atletica: “In seria A vincemmo una quindicina di partite nell’ultimo quarto d’ora e in tutta la stagione ci fu solo una lesione muscolare”. Non se l’è sentita insomma di accettare un ruolo per il quale avrebbe dovuto eventualmente “rimediare” a scelte fatte da altri.  

Nell’ultima stagione, del resto, ci sono stati esempi che gli sono valsi da monito: quello di Foti, che pur avendo cercato altrove soluzioni ai suoi problemi alla schiena, non ha più ritrovato una forma accettabile; ma anche quello di Jeda, i cui guai muscolari sarebbero stato complicati e non risolti da interventi “poco professionali”. Quanto a Chevanton, Palaia ha garantito che è completamente guarito dalla rottura del tendine d’Achille e che la minore brillantezza dimostrata dall’uruguagio è dipesa non certo da eventuali postumi di quel trauma, oltre che dall’avanzare dell’età.

fotopalaia 004-2L’ex medico sociale ha fatto i nomi degli attaccanti per rispondere alle voci secondo cui sarebbe stata una sua sottovalutazione del quadro clinico ad impedire che il direttore sportivo corresse ai ripari nel mercato di gennaio. Insomma, è stato il venir meno dei presupposti per una gratificazione professionale piena a spingere Palaia a mettersi da parte. Si dedicherà alla direzione dei due centri allestiti a Squinzano e Galatina, mentre un terzo è di prossima apertura a Brindisi. Palaia ha riconosciuto di aver ricevuto tanto dal Lecce, soprattutto in termini di visibilità, “altrimenti sarei stato un anestesista come tanti” e ha garantito che la sua porta rimarrà sempre aperta per chi avrà bisogno di lui.

Ma l’incontro con i cronisti è stato anche l’occasione per i ringraziamenti e i ricordi delle persone che sono entrate a far parte della sua vita: “Medico di paese”, lo sfotteva Franco Iurlano, che si divertiva a rimarcare le differenze con Carlo Pranzo Zaccaria, lo storico ortopedico del Lecce, al quale il doppio cognome conferiva un tono signorile confermato dagli atteggiamenti quotidiani. E non è un caso che accanto a sé Palaia abbia oggi voluto la figlia dello specialista, deceduto nell’agosto del 2010 a seguito di una lunga malattia. Una patologia oscura, silenziosa, non troppo diversa nelle possibili conseguenze da quella che ha colpito lui stesso nel 2005.

Dopo aver salvato la vita all’attaccante dell’Udinese Francesco Marino, nel corso di Lecce – Udinese del novembre del 1994, ha dovuto lottare per la propria, dieci anni dopo, senza mai mettere da parte l’impegno a bordo campo, come sempre ha fatto sin dai suoi esordi con Eugenio Fascetti: “Ho programmato le sedute di chemioterapia secondo un calendario che mi permettesse di non lasciare la squadra”, ha ricordato a testimonianza della dedizione costante riservata ai colori sociali. Quelli stessi che campeggiano nella grande foto appesa alla sue spalle, che ritrae lo striscione che la curva Nord gli dedicò nel momento più delicato di quella malattia: "Forza Peppino, la Nord ti è vicino".

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