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Sabato, 20 Aprile 2024
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Lecce, campionato senza prova d'appello. Ma i conti si fanno solo alla fine

Quattro sconfitte e sei punti di distacco dalla vetta: i numeri non sorridono al club di Tesoro. Ci sono molti nodi al pettine e l'ambiente appare saturo di frustrazioni. La società fa pieno affidamento su Lerda, il pubblico invece inizia a rumoreggiare

LECCE – Se ne sentono di tutti i colori in giro. Che i Tesoro non vogliono andare in serie B, per esempio. E’ una supposizione che sfugge a qualsiasi logica – basti considerare la differenza in fatto di ricavi  con la Lega Pro – eppure si riaffaccia puntualmente ogni volta che le cose girano male. Ma si sa, le voci si rincorrono, si accavallano e si confondono fino a sfigurare i contorni del reale. Non capita solo a Lecce.

Si dice pure che il calcioscommesse non sia mai finito, che le quote e i picchi delle puntate sulla gara persa dai giallorossi sabato contro il Martina Franca fossero indicativi di come sarebbe andata a finire. Si blatera inoltre che il ko sia stato la conseguenza di una ripicca della squadra per la questione che si presenta ciclicamente relativa al presunto ritardo negli stipendi. Particolarmente interessante è anche la vicenda delle nuove divise di gara che il Lecce non ha potuto ancora indossare: a causa di disguidi nel magazzino dello sponsor tecnico secondo la società, per non meglio precisati problemi economici per la vox populi. 

Insomma, non se ne esce vivi da questo girone delle ipotesi maliziose, ma l’unica certezza è che il grande assente del dibattito è il calcio giocato. L’unica vera bibbia per chi ancora crede nei valori fondanti ogni disciplina sportiva. Bisogna però essere responsabili quando si parla di un “bene pubblico” come il club giallorosso e di una passione collettiva come il football. Perché altrimenti si finisce per darsi addosso in maniera autolesionistica, riducendo il nocciolo della questione ad una contrapposizione tra fazioni: pro o contro Tesoro, pro o contro Lerda, pro o contro Miccoli, pro o contro Curva Nord. Senza prove, senza solide argomentazioni ma solo sulla base del sentito dire.

Così non va perché poi le partite bisogna giocarle, e possibilmente magari vincerle, cosa che il Lecce non fa da due turni. Chiedersi il perché partendo da quello che si è visto in campo è forse una base di partenza migliore di quello che si crede soggettivamente e che si vuole far credere agli altri. Altrimenti è meglio smettere di parlare di calcio e darsi… alle scommesse.

Esiste un problema relativo al reparto offensivo che ha realizzato 12 dei 22 goal, poco più della metà del totale. Il miglior realizzatore è Moscardelli, con 5 reti, poi c’è Doumbia con 4, quindi Miccoli con 2 e Della Rocca con 1. Il Lecce è sesto nell’apposita graduatoria (secondo in quella delle reti subite) e questo evidentemente non basta: è auspicabile un intervento nel mercato di gennaio, soprattutto se il capitano dovesse andar via. E qui si viene al secondo punto all’ordine del giorno.

Non vi è dubbio alcuno sul fatto che il rapporto tra Lerda e Miccoli, nonostante un atteggiamento professionale che evita spargimenti di sangue in pubblico, sia appeso ad un fragilissimo filo. Non si tratta di prendere le parti di uno o dell’altro, perché determinate verità non fuoriescono dal perimetro dello spogliatoi, ma di assumere la consapevolezza che tra il tecnico e il capitano non c’è quel patto di ferro che è la base di ogni impresa calcistica. Ognuno dei due avrà le sue ragioni, ma nel conflitto latente si disperdono molte energie mentali. Un lusso che il club non si può consentire.

IMG_5654-2Dopo due stagioni sfortunate, infatti, la pazienza è arrivata al limite. Lo si percepisce nell’ambiente: i tifosi della curva iniziano a rumoreggiare, negli altri settori la popolarità di Lerda è in netto calo e anche la fiducia nella famiglia Tesoro di sapere tenere salde le redini della gestione sportiva. Due finali perse non sono un fallimento, ma mancare per il terzo anno l’obiettivo sarebbe la pietra tombale del progetto societario, nato, giova sempre ricordarlo – altrimenti si perde il senso della prospettiva – dalla dismissione precedente attuata in fretta e furia dopo il “derby della vergogna” del maggio 2011.

Equilibri sottili quelli che sovrintendono il destino del Lecce. Non ci prendiamo in giro. Ha ragione il patron Savino quando invita i tifosi a non essere catastrofisti, ma l’orizzonte non è roseo. Se la nuvola è passeggera lo si vedrà nelle prossime settimane: molto dipende dalle scelte che farà Lerda. Che, fino ad oggi, è responsabile di non essere riuscito a cucire sulla pelle dei calciatori un progetto tattico definito, che sicuramente in testa sua ha. Nella gestione delle sostituzioni a partita in corso è parso spesso poco tempestivo e nelle ricerca dell’equilibrio a tutti i costi – mantra che ripete ad ogni occasione – rischia di incardinare la squadra sull’eccessiva prudenza. Quando serve è necessario osare.

Appare chiaro che la proprietà fa affidamento su di lui, anche a costo di perdere Miccoli, e in questa scelta vi è la consapevolezza della compattezza dello spogliatoio. Ma solo i risultati e la continuità di rendimento possono essere il miglior rimedio ai mali stagionali che, altrimenti, rischiano di diventare cronici. Si dice che il Lecce abbia l’organico sufficiente per due formazioni di categoria: forse la miglior rosa dell’era Tesoro. Per ora si è dimostrata una buona squadra, con punte di eccellenza (Benevento e Salernitana messe in riga davanti al proprio pubblico), ma anche troppi scivoloni inattesi: quattro sconfitte, le stesse del Melfi, sono troppe rispetto al Benevento e al Foggia, che hanno perso una sola volta, ma soprattutto alle due di Salernitana e Juve Stabia che guidano la classifica.

Tutto quello che c’è di buono nelle intenzioni della società, nella testa del mister, nel cuore dei calciatori, deve essere tirato fuori. Adesso. Prove d’appello quest’anno non ce ne sono. Avvelenare il clima con supposizioni e dicerie, esercizio nel quale primeggiano taluni ambienti cittadini, è quanto di più controproducente e perfido si possa fare. I risultati si valutano alla fine. E davanti ai numeri ciascuno si dovrà assumere le proprie responsabilità o, speriamo, celebrare i propri meriti.

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