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Lecce-Vico Equense? Il caos: in centinaia restano fuori

Vicenda paradossale: per la gara di Coppa Italia con la formazione semiprofessionistica la società si dimentica dei dei tifosi. Pochi botteghini e molti entrano nella ripresa o finiscono per andarsene

LECCE - Se lo slogan di quest'anno, per spronare i tifosi all'abbonamento, è "non lasciamoli soli", allora ci sarà da accendere un cero se centinaia di persone che questa sera si trovavano ai botteghini si avvicineranno anche solo di qualche decina di metri al "Via del Mare". Ma il problema è che, alla fine, i tifosi sono affezionati. Ed i salentini, pure fin troppo civili ed educati. Altrove, quel misero prefabbricato che sa tanto di ricovero di fortuna per vittime del terremoto, più che di una biglietteria, forse sarebbe stato ribaltato e ritrovato la mattina dopo giù nella scarpata, alle spalle dei campetti degli "antistadi".

Le immagini che vedete non sono il preludio di un infuocato Lecce-Bari, quella che potete ammirare non è la fila chilometrica per assistere ad una gara con il Milan. Nossignore. E' la personificazione del caos, la fantozziana sintesi della disgrazia, apoteosi della schifezza, prima di un anonimo Lecce-Vico Equense, turno di Coppa Italia, per giunta nell'anno del ritorno in B e quindi con il morale della tifoseria sotto i tacchi. Ore 19, davanti allo scatolone che poco dignitosamente vorrebbe rappresentare una rivendita di biglietti, inizia a formarsi la coda. E' domenica, domenica d'agosto. Non tutti hanno fatto il tagliando nelle ricevitorie autorizzate, nei giorni precedenti, o magari qualcuno c'ha provato, ma gli è successo qualcosa di singolare e molto fastidioso, come al sottoscritto (ve lo racconterò dopo).

I più, di certo, decidono solo all'ultimo momento di andare a vedere questo nuovo Lecce, mezzo rattoppato, si sa, e ancora incompleto. Ma al cuor non si comanda, e così si parte per lo stadio. C'è chi sta già in vacanza - buon per lui - e viene da qualche località marina, chi ancora lavora (anche di domenica, perché ormai non esistono più i giorni festivi, tranne che per i miliardari), chi, titubante, ci pensa su fino all'ultimo minuto e poi alla fine dice, fra sé e sé: ma sì, andiamo. Non è importante perché si scelga in quale settore e a che ora andare. L'importante è che vi sia un servizio di biglietteria adeguato alla squadra di una città di media grandezza, capoluogo di una delle maggiori province italiane per popolazione, e che milita in serie professionistiche. Macché. Ci siamo sbagliati tutti.

Ore 20 e qualcosa, la fila s'ingrossa come un'onda in piena: spintoni, calca, sudore, urla, bestemmie, parte qualche coro da curva non proprio d'ammirazione verso la società. Le nuove norme, quelle che uccidono il calcio alla stregua della violenza che si vorrebbe combattere, non consentono ai botteghini all'interno dello stadio bunker, ormai sinistramente ribattezzato Alkatraz dai tifosi, di essere aperti. Così, da striminzite finestrelle strategicamente lontane qualche centinaio di metri dal famigerato prefiltraggio, pochi addetti emettono un biglietto alla volta con i tempi biblici della consultazione del documento, visto che, come in ogni prigione che si rispetti, anche per l'accesso ad Alkatraz si è tutti schedati. Peccato che questo sia un accesso volontario e previo esborso di denaro. La prossima volta, lo giuro, metto una banda nera sugli occhi, sulla foto nella mia carta d'identità, mentre la consegno a chi mi fa il biglietto. Il baraccone da lunapark destinato ai tagliandi diventa così parodia della funzionalità, e più di qualcuno tira i remi in barca. Quando sta per finire il primo tempo, centinaia di persone sono ancora lì, a cercare di vedere almeno la ripresa di Lecce-Vico Equense. Sì, avete capito bene. Vico Equense, non Bayern Monaco.

Decido di chiamare sul telefonino una persona che collabora con l'Unione Sportiva Lecce. Dico, mai m'era capitato di non riuscire ad entrare in uno stadio, neanche nei giorni che furono dei grandi pienoni, quelli veri, quando si stava appiccicati l'uno sull'altro in curva e la gara s'intuiva solamente. Non importa dire chi abbia chiamato, si tratta di funzionari, ai quali ho demandato di far sapere alle sfere più alte quello che stavano pensando in quel momento i tifosi, e non il meglio possibile. C'è stato un battibecco, ed i toni non sono stati molto cordiali, almeno all'inizio. Poi ci siamo calmati un po' tutti. Non sono aggressivo di natura, ma in quel momento avevo la maglietta intrisa di sudore ed una gran voglia di dire la mia come Dio comanda. Mi è stata passata per telefono un'altra persona, sempre degli ambienti societari, la quale mi ha testualmente riferito: "Ci sono otto biglietterie aperte". Ora, dovete fidarvi. Se lo scrivo, è perché mi è stato riferito così, è perché ho sentito bene: "Ci sono otto biglietterie aperte".

Con altri tifosi, ho provato a contare: una per gli accrediti, ovviamente deserta; una per il settore numerati, chiaramente desolata anche questa; separati in casa, ovvero uno accanto all'altro, te coste, come dicono i leccesi, una per la Est e due per le Curve. Gli stoici, dopo oltre un'ora, riescono a trovare il preziosissimo biglietto e ad entrare per vedere nientemeno che il secondo tempo di Lecce-Vico Equense. Altri se ne vanno, scuotendo la testa: "Mai più". Qualcuno si siede per terra, sorseggia una birra e guarda nel vuoto. Poliziotti e carabinieri osservano, discreti, la scena. Probabilmente, sono increduli anche loro. Intanto, sul telefonino mi arrivano alcuni sms. Il Lecce vince, e pare che Baclet stia facendo faville. Ma a quel punto, non me ne frega davvero più nulla. Mi chiedo solo se sia possibile una tale disorganizzazione, dove siano le responsabilità effettive e se sia sempre colpa del tifoso, al quale è imputabile ogni male, dalla fame in Africa fino alla guerra in Iraq, o se magari qualcun altro, una volta tanto, scenderà dal suo piedistallo e chiederà pubblicamente scusa.

***

Antefatto: sabato pomeriggio, ore 17,30 circa, mi reco in un noto tabaccaio-rivenditore autorizzato di Lecce per comprare il biglietto. Mi viene risposto di presentarmi dopo, alle 19,30. "Prima il lotto". Mi spiegano che per i biglietti dello stadio prendono una miseria. Siamo nell'ordine di poco più di 10 centesimi. Ora, non che questo m'interessi più di tanto. Io non sto a dire quanto prendo di pubblicità per campare, né sono obbligato a tornare quando mi viene detto da altri, perché ho da fare e se anche non avessi da fare, la questione non cambierebbe. Sto in fila e voglio il mio biglietto. Ma, semplicemente, non mi viene fatto e non ci sono santi. "Prima il lotto".

Allo stadio, come scritto, è andata com'è andata. Morale: sono andato nella mia vita fino alla frontiera per vedere il Lecce (e l'avrei superata, semmai avesse disputato qualche coppa europea), ma non sono riuscito a vedere Lecce-Vico Equense, in casa mia, nella mia città. Non me l'hanno permesso. Anche questo episodio è stato segnalato alla società (il danno, questa volta, è anche dell'Unione Sportiva Lecce, se vogliamo). Sarà, inoltre, segnalato alle associazioni di difesa dei consumatori. Qualora vi sia accaduta qualche situazione analoga, con i rivenditori, v'invito ad agire nella mia stessa maniera
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